Addio al senatore Sergio Pininfarina,
genio del design che leggeva il futuro
Sergio Pininfarina era nato a Torino l’8 settembre 1926. Il diminutivo "Pinin" è stato aggiunto all'originario cognome "Farina" nel 1961
Ambasciatore dello stile "made
in Italy" nel mondo, il patron
dell'azienda di carrozzerie si è spento nella notte a 85 anni
PIERO BIANCO
TORINO
Se l’auto avesse un cuore, batterebbe all’unisono con quello di Sergio Pininfarina, che si è spento dopo una lunga malattia lasciando in eredità un patrimonio indelebile. Nato a Torino l’8 settembre 1926, l’Ingegnere ha attraversato e firmato con il suo genio creativo l’intera storia del design, dall’era romantica dei grandi Carrozzieri all’industria moderna, scandendone i ritmi e dettandone le tendenze. Sergio Farina divenne Pininfarina nel 1961, con decreto del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi: un omaggio al padre Battista «Pinin», da cui ereditò il comando dell’azienda che ha celebrato ottant’anni nel maggio 2010, proiettandola verso il terzo millennio.
Un maestro che non amava salire in cattedra, ma che ha saputo dare lezioni sempre attuali, di stile e di eleganza, con le sue opere d’arte contemporanea. Pininfarina ha vissuto da protagonista tutta la storia recente dell’auto, riuscendo a entusiasmarsi sempre, fino al crepuscolo della sua attività operativa, quando ha ceduto il timone al figlio primogenito Andrea (morto tragicamente nell’agosto 2008 in un incidente di moto) e poi all’altro figlio Paolo. Parlando delle sue «creature» a quattro ruote, che tanto amava, trasmetteva una passione infinita, con gli occhi brillanti di gioia. Eppure se non ci fosse stato quel genitore così «ingombrante» e così geniale, forse Sergio Pininfarina avrebbe fatto il musicista: lui che da ragazzo amava soprattutto l’armonia delle note. Invece il suo destino era segnato, nel nome del padre, e non gli impedì di sviluppare in altri campi, con strepitoso successo, l’impareggiabile vena artistica.
Pininfarina si laureò nel ‘50 in ingegneria meccanica al Politecnico torinese completando gli studi in Inghilterra e negli Stati Uniti e presto diventò raffinato maestro di stile. La sua missione è stata per tutta la vita trasformare in opere d’arte le carrozzerie delle automobili, alla sua scuola sono cresciute generazioni di designer, proprio come lui era cresciuto facendo tesoro dei consigli di papà Pinin. Proseguendo l’intuizione paterna, il giovane Sergio sviluppò sempre più lo studio e la costruzione di carrozzerie speciali, ottimizzando contemporaneamente l’attività industriale dell’azienda di famiglia, fino a farla diventare un colosso internazionale ramificato anche sui mercati emergenti. La Pininfarina divenne famosa negli anni Cinquanta per l'eleganza delle carrozzerie realizzate e, soprattutto, per il disegno sempre all'avanguardia. A partire dagli anni Ottanta, Sergio intuì la crescente importanza dell'aerodinamica, concentrando gli sforzi nel migliorare i modelli non solo da un punto di vista estetico ma anche nelle sfide dei flussi dinamici. Non a caso portano la sua griffe le più belle e prestigiose Ferrari, oltre a tante Maserati e altre indimenticabili auto sportive.
«L’essenziale è conservare il patrimonio del passato ma sapersi proiettare nel futuro, anticipando i tempi», spiegava l’Ingegnere a chi aveva la fortuna di intervistarlo. Sorprendendo sempre l’interlocutore per l’abilità di rendere accessibili ai profani concetti stilistici e ingegneristici anche molto complessi. Ogni dialogo diventava una autorevole e profonda lezione cattedratica, però priva della pur minima supponenza. Illustrò così, nel Duemila a Ginevra, l’intrigante 360 Spider, versione scoperta della Modena, la 164ª Ferrari nata dalla fantasia del suo atelier: «C’è qualcosa di molto speciale, su questa vettura. Pur essendo una scoperta, abbiamo reso visibile il motore. E’ la prima volta che si punta su una scelta così diversa. Lo considero un omaggio personale alla meccanica del Cavallino. Ci pensavo da tempo, perché da stilista ritengo che la meccanica possa a volte accentuare la personalità di un’auto. Con la Modena, già avevamo messo in vetrina il motore. Su uno spider il fascino aumenta ulteriormente. Il motore non rappresenta più un dettaglio: è una cattedrale, come Notre Dame, una vera scultura contemporanea». E parlando della sua azienda osservò orgoglioso: «Ha anime molteplici. Vanno dall’ideazione allo sviluppo tecnico, all’industrializzazione. Noi amiamo l’auto in tutte le sue facciate: dall’essenza più estrema, la Ferrari, all’ottimizzazione delle necessità quotidiane, la citycar Metrocubo. Sono fiero che la mia società abbia realizzato studi accurati nel campo della ricerca sulla sicurezza, dell’aerodinamica, della riduzione di consumi e dell’ecologia applicata. L’auto in questo secolo di sviluppo ha creato infiniti benefici, ma anche tre grandi problemi: polluzione, congestione, insufficiente sicurezza. Ora lavoriamo per il futuro, per risolverli».
Intuiva che il progresso avrebbe rivoluzionato l’automotive: «Il processo di futurizzazione è lento e graduale ma inarrestabile. Più che l’auto, cambierà il concetto di mobilità, ad esempio con piccole vetture da affittare per l’ingresso nei centri urbani. Non avremo le astronavi che qualcuno ipotizzava negli anni Sessanta, è invece il modo di muoversi che sta cambiando tantissimo. La svolta è in atto: si chiama elettronica e tecnologia dell’informazione applicata. Entro vent’anni, ma direi realisticamente già entro i prossimi dieci, si guiderà assistiti da computer di bordo e tecnologie sempre più sofisticate. Divertente, io ci credo».
Aveva ragione, naturalmente. Semplice, essenziale, come i tratti delle sue vetture. L’Ingegnere ha conservato per tutta la vita, con il rispetto per l’interlocutore, una straordinaria umiltà. Proprio lui oltre ad aver ricevuto numerose lauree honoris causa figura tra gli eletti della Automotive Hall of Fame di Detroit come «personalità che ha lasciato il segno nell’industria automobilistica mondiale»; lui che è stato nominato (da Ciampi) Senatore a vita della Repubblica il 23 settembre 2005, come tra i grandi dell’auto era accaduto soltanto a Giovanni Agnelli, l’Avvocato, e nessuno più di Sergio Pininfarina meritava in effetti di essere incoronato dal Paese che ha onorato come «simbolo vincente dell’imprenditoria italiana». Lui che è stato anche presidente della Confindustria in anni difficili (dal 1988 al 1992) e ha dovuto combattere le stagioni più delicate della nostra industria, delle sue battaglie sindacali, dell’evoluzione della nostra società.
La sua vita professionale è stata una sinfonia di successi, fin da quando papà Pinin gli affidò quel primo incarico di gestire i rapporti con Enzo Ferrari per disegnare le vetture del Cavallino. Il rapporto privilegiato con quest’altra griffe invidiata del made in Italy non è mai svanito, anzi si è rafforzato nel tempo, per questo Pininfarina ha firmato quasi tutte le più belle Ferrari di serie, imprimendo un marchio indelebile allo stile delle supercar di Maranello. Non a caso fu proprio la Pininfarina dell’Ingegnere a inaugurare la prima Galleria del Vento, nello stabilimento di Grugliasco, anticipando tutti i grandi costruttori mondiali. Innovazione, sempre. L’intuito e la passione del maestro Sergio resteranno un patrimonio storico cui l’azienda oggi non può e non vuole rinunciare, anche se gli scenari globali sono cambiati e le produzioni di nicchia sono ormai tramontate.
(link originale dell'articolo: http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/461023/)