E' morto Enzo Bearzot
Addio al c.t. di Spagna '82
Friulano d'origine, aveva 83 anni. Giocò da mediano anche nell'Inter, prima di allenare con Rocco, Fabbri e Bernardini. Alla guida della Nazionale dal 1975, conquistò il quarto posto ad Argentina '78 e vinse il Mondiale quattro anni dopo con Rossi e Cabrini. Suo il record di presenze sulla panchina azzurra: 104
MILANO, 21 dicembre 2010 - Il “vecio” se n’è andato. Enzo Bearzot, il commissario tecnico del trionfo in Spagna nel 1982, è morto. Curiosamente si è spento proprio il 21 dicembre, come Vittorio Pozzo, il c.t. che vinse i due Mondiali prima di lui, nel 1934 e 1938, scomparso il 21 dicembre di 42 anni fa. Aveva 83 anni. Ci lascia in eredità una straordinaria avventura, maturata in un’estate rovente, costruita pezzo dopo pezzo all’insegna del gruppo. Nomi che sono diventati leggende. Zoff, Collovati, Scirea, Cabrini, Gentile, Bergomi, Oriali, Conti, Tardelli, Graziani, Rossi, Altobelli, Antognoni. Chissà quante volte avrà ripetuto questi nomi. Tutti figli suoi.
la carriera — Enzo Bearzot nasce ad Aiello del Friuli il 27 settembre 1927. E' un mediano con spiccate doti difensive e gioca nella squadra locale. Ma nel 1946 qualcuno si accorge di lui e vola in serie B nelle fila della Pro Gorizia. Davvero bravo; così tanto da passare all’Inter. Quindi tre anni al Catania ancora tra i cadetti e poi nel Torino dove costruisce la sua carriera: 164 presenze, dal 1957 al 1964. La Nazionale ? Una sola presenza nel 1955. L’addio al calcio coincide con l’ultimo anno al Toro in cui prende in mano le giovanili granata per poi diventare assistente di Nereo Rocco e Edmondo Fabbri. Dopo una breve esperienza al Prato, il primo impatto con l’azzurro: era il 1969. Resterà alla guida dell’Under 23 fino al 1975; il trampolino di lancio per la Nazionale maggiore. Dopo il fallimento in Germania nel 1974 condivide la panchina con Fulvio Bernardini fino al 1977.
mundial 82 — Il resto è storia. L'Italia conquista il quarto posto in Argentina nel 1978, grazie anche a scelte coraggiose; come le convocazioni dei giovani Paolo Rossi e Antonio Cabrini. Proprio Rossi, convocato nel 1982 dopo la famosa squalifica, sarà l’artefice del trionfo spagnolo; una conquista strepitosa contro avversari fortissimi (Brasile, Argentina e Germania), contro la feroce critica della stampa italiana contro la quale Bearzot "inventò" il silenzio stampa. Meno fortunato il prosieguo sulla panchina azzurra: nel 1986 i campioni del Mondo escono agli ottavi contro la Francia. Bearzot si dimette dopo 104 panchine. Più di Vittorio Pozzo che ne collezionò 97. Il suo resterà un record ancora imbattuto.
(link originale dell'articolo: http://www.gazzetta.it/Calcio/Nazionale/21-12-2010/-morto-enzo-bearzot-712219771788.shtml)
(link originale dell'immagine: http://www.puntosport.net/puntosport-incorso/images/Image/Speciali/I%20ct%20Campioni%20del%20Mondo/Enzo%20Bearzot_230.jpg)
Curiosariato è l'insieme delle notizie, degli elementi, dei materiali che possono a buon diritto entrare a far parte di un curiosario.
martedì 21 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
Blake Edwards
Addio a Blake Edwards. Diresse La Pantera Rosa e Colazione da Tiffany
Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 19:19.
È morto a Brentwood, in California, il regista e gran maestro della commedia Blake Edwards. Aveva 88 anni. Alla sua regia si devono film memorabili, come «Colazione da Tiffany», «La pantera rosa», «10» e «Victor Victoria» in cui diresse la seconda moglie Julie Andrews, che gli è stata vicina fino alla fine, dopo ben 41 anni di matrimonio. Il versatile e brillante cineasta è morto ieri per complicazioni polmonari presso il St. John's Health Center di Santa Monica, California,dove era ricoverato. Nel 2004 aveva ricevuto l'Oscar alla carriera.
Tra i suoi numerosi film si ricordano Operazione sottoveste del 1959, nel 1961 diresse A Breakfast at Tiffany's, del 1964 The Pink Panther, nel 1968 Hollywood Party (The Party) , nel 1975 La Pantera Rosa colpisce ancora, un anno dopo La Pantera Rosa sfida l'ispettore Clouseau (The Pink Panther Strikes Again) (1976), nel 1978 La vendetta della Pantera Rosa, nel 1982 Sulle orme della Pantera Rosa (Trail of the Pink Panther, 1982), La Pantera Rosa - Il mistero Clouseau (Curse of the Pink Panther, 1983), nel 1984 Micki e Maude,
Appuntamento al buio (Blind Date, 1987), Intrigo a Hollywood (Sunset, 1988), nel 1993 Il figlio della Pantera Rosa (Son of the Pink Panther).
(link originale dell'articolo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-12-16/addio-blake-edwards-diresse-191052.shtml?uuid=AYuKMGsC)
(link originale dell'immagine: http://www.themovieguys.net/wp-content/uploads/2010/09/Blake-edwards_l.jpg)
Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 19:19.
È morto a Brentwood, in California, il regista e gran maestro della commedia Blake Edwards. Aveva 88 anni. Alla sua regia si devono film memorabili, come «Colazione da Tiffany», «La pantera rosa», «10» e «Victor Victoria» in cui diresse la seconda moglie Julie Andrews, che gli è stata vicina fino alla fine, dopo ben 41 anni di matrimonio. Il versatile e brillante cineasta è morto ieri per complicazioni polmonari presso il St. John's Health Center di Santa Monica, California,dove era ricoverato. Nel 2004 aveva ricevuto l'Oscar alla carriera.
Tra i suoi numerosi film si ricordano Operazione sottoveste del 1959, nel 1961 diresse A Breakfast at Tiffany's, del 1964 The Pink Panther, nel 1968 Hollywood Party (The Party) , nel 1975 La Pantera Rosa colpisce ancora, un anno dopo La Pantera Rosa sfida l'ispettore Clouseau (The Pink Panther Strikes Again) (1976), nel 1978 La vendetta della Pantera Rosa, nel 1982 Sulle orme della Pantera Rosa (Trail of the Pink Panther, 1982), La Pantera Rosa - Il mistero Clouseau (Curse of the Pink Panther, 1983), nel 1984 Micki e Maude,
Appuntamento al buio (Blind Date, 1987), Intrigo a Hollywood (Sunset, 1988), nel 1993 Il figlio della Pantera Rosa (Son of the Pink Panther).
(link originale dell'articolo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-12-16/addio-blake-edwards-diresse-191052.shtml?uuid=AYuKMGsC)
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Tommaso Padoa-Schioppa
E' morto Tommaso Padoa-Schioppa
Un malore improvviso a Roma. Aveva 70 anni
(link originale dll'immagine: http://data.kataweb.it/kpm2x/field/image/kpmimage/1933997)
MILANO - E' morto improvvisamente a Roma Tommaso Pado-a-Schioppa. L'ex ministro dell'Economia, 70 anni, è stato colpito da un arresto cardiaco mentre stava partecipando ad una cena organizzata a Palazzo Sacchetti, in via Giulia, dove aveva riunito un centinaio di amici. Verso le 21, durante la cena, mentre salutava gli ospiti, un malore. Poche parole: «Scusate, non mi sento bene». Si è accasciato. Subito assistito da due medici e poi la corsa, inutile, all’ospedale Santo Spirito in Sassi. Padoa-Schioppa, nato a Belluno 70 anni fa, ministro dell' Economia nel 2006del secondo Governo Prodi, economista, studioso di fama internazionale, ex banchiere centrale, era editorialista del Corriere della Sera.
FIGLIO D'ARTE - Tommaso Padoa-Schioppa era figlio di Fabio Padoa-Schioppa, amministratore delegato delle Assicurazioni Generali di Trieste. Dopo la laurea in Economia all'Università Bocconi di Milano e un master in Economia al Massachusetts Institute of Technology di Boston, nel 1968 entra alla Banca d'Italia dove diventa prima responsabile della divisione mercati monetari del Dipartimento di ricerca e poi, dal 1984 al 1997, vice direttore generale dell'Istituto di emissione. Dopo un'esperienza come presidente della Consob (1997-1998), passa alla Banca centrale europea.
PADRE DELL'EURO - Dal 1998 al 2006 ha fatto parte del Comitato esecutivo della Banca centrale europea. In questo ruolo ha giocato una parte importante nella nascita dell'euro, la moneta unica continentale di cui egli stesso aveva propugnato la creazione nel 1982, una raccomandazione fatta propria dal Rapporto Delors del 1989. Per questo era stato anche definito «l'impeto intellettuale» dietro l'adozione della nuova moneta (Fonte Wikipedia)
MINISTRO - Ma gli italiani lo ricordano, probabilmente, soprattutto per l'incarico di ministro dell'Economia che Padoa-Schioppa ricoprì tra il maggio del 2006 e il 2008, nel secondo governo Prodi. In questa veste fu responsabile del varo della Finanziaria 2007 da 33,8 miliardi. Famoso il termine «tesoretto» da lui coniato per identificare l'extra-gettito nelle casse pubbliche dovuto alle entrate fiscali non previste e al successo della lotta all'evasione. Ancor più famosa, e fonte di infinite polemiche, la qualifica di «bamboccioni» che il ministro affibbiò ai ragazzi che restavano con i genitori: in un'audizione nel 2007 disse: «Incentiviamoli a lasciare la casa dei genitori, non si sposano e non diventano autonomi».
Redazione online
19 dicembre 2010
(link originale dell'articolo: http://www.corriere.it/economia/10_dicembre_19/morto-padoa-schioppa_70bf83bc-0afd-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml)
Un malore improvviso a Roma. Aveva 70 anni
(link originale dll'immagine: http://data.kataweb.it/kpm2x/field/image/kpmimage/1933997)
MILANO - E' morto improvvisamente a Roma Tommaso Pado-a-Schioppa. L'ex ministro dell'Economia, 70 anni, è stato colpito da un arresto cardiaco mentre stava partecipando ad una cena organizzata a Palazzo Sacchetti, in via Giulia, dove aveva riunito un centinaio di amici. Verso le 21, durante la cena, mentre salutava gli ospiti, un malore. Poche parole: «Scusate, non mi sento bene». Si è accasciato. Subito assistito da due medici e poi la corsa, inutile, all’ospedale Santo Spirito in Sassi. Padoa-Schioppa, nato a Belluno 70 anni fa, ministro dell' Economia nel 2006del secondo Governo Prodi, economista, studioso di fama internazionale, ex banchiere centrale, era editorialista del Corriere della Sera.
FIGLIO D'ARTE - Tommaso Padoa-Schioppa era figlio di Fabio Padoa-Schioppa, amministratore delegato delle Assicurazioni Generali di Trieste. Dopo la laurea in Economia all'Università Bocconi di Milano e un master in Economia al Massachusetts Institute of Technology di Boston, nel 1968 entra alla Banca d'Italia dove diventa prima responsabile della divisione mercati monetari del Dipartimento di ricerca e poi, dal 1984 al 1997, vice direttore generale dell'Istituto di emissione. Dopo un'esperienza come presidente della Consob (1997-1998), passa alla Banca centrale europea.
PADRE DELL'EURO - Dal 1998 al 2006 ha fatto parte del Comitato esecutivo della Banca centrale europea. In questo ruolo ha giocato una parte importante nella nascita dell'euro, la moneta unica continentale di cui egli stesso aveva propugnato la creazione nel 1982, una raccomandazione fatta propria dal Rapporto Delors del 1989. Per questo era stato anche definito «l'impeto intellettuale» dietro l'adozione della nuova moneta (Fonte Wikipedia)
MINISTRO - Ma gli italiani lo ricordano, probabilmente, soprattutto per l'incarico di ministro dell'Economia che Padoa-Schioppa ricoprì tra il maggio del 2006 e il 2008, nel secondo governo Prodi. In questa veste fu responsabile del varo della Finanziaria 2007 da 33,8 miliardi. Famoso il termine «tesoretto» da lui coniato per identificare l'extra-gettito nelle casse pubbliche dovuto alle entrate fiscali non previste e al successo della lotta all'evasione. Ancor più famosa, e fonte di infinite polemiche, la qualifica di «bamboccioni» che il ministro affibbiò ai ragazzi che restavano con i genitori: in un'audizione nel 2007 disse: «Incentiviamoli a lasciare la casa dei genitori, non si sposano e non diventano autonomi».
Redazione online
19 dicembre 2010
(link originale dell'articolo: http://www.corriere.it/economia/10_dicembre_19/morto-padoa-schioppa_70bf83bc-0afd-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml)
mercoledì 1 dicembre 2010
Mario Monicelli
(link originale dell'immagine: http://disinformazia.ilcannocchiale.it/mediamanager/sys.user/170548/i29217monicellifu1.jpg)
Mario Monicelli morto suicida a Roma
Il regista viareggino si è ucciso lanciandosi dal quinto piano del reparto di urologia del San Giovanni
Il regista viareggino si è ucciso lanciandosi dal quinto piano del reparto di urologia del San Giovanni
MILANO - Un volo dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni di Roma. Scompare così Mario Monicelli, ultimo grande maestro del cinema italiano. Il regista si è ucciso lanciandosi, intorno alle 21 di lunedì sera, dal reparto di urologia dell'ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato da domenica. Il cineasta aveva 95 anni e soffriva di un tumore alla prostata. Il corpo di Monicelli è stato trovato dal personale sanitario dell'ospedale a terra, disteso nei viali vicino alle aiuole, a pochi metri dal pronto soccorso. Non ha lasciato nessun biglietto a spiegazione del suo gesto. Sul posto sono arrivati amici e familiari. Al San Giovanni sono giunti anche gli agenti del commissariato Celio per ricostruire quanto accaduto e la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini. La notizia del suicidio in pochi secondi ha fatto il giro del web: commenti, foto, ricordi, riflessioni sono postati velocemente su Facebook e Twitter, mentre su YouTube i video del maestro hanno raccolto numerosissimi clic.
STANCHEZZA E INSOFFERENZA - Secondo la ricostruzione, Monicelli ha effettuato prima il giro per la terapia poi, una volta rimasto da solo nella stanza doppia occupata da lui soltanto, ha raggiunto la finestra e si è gettato nel vuoto. La tragedia si è consumata nella palazzina principale dell'ospedale. Stando ad alcune testimonianze, il regista aveva mostrato stanchezza e insofferenza per la malattia che lo aveva colpito a 95 anni. «Era stanco di vivere» ha riferito un sanitario. La moglie del cineasta, in giacca nera e pantaloni grigi, è uscita con il volto sofferente e visibilmente provato dalle lacrime, ma con lo sguardo alto, senza dire nulla. Anche il padre del regista, il noto scrittore e giornalista Tomaso Monicelli, morì suicida nel 1946.
MAESTRO CAUSTICO - Viareggino, classe 1915, Monicelli è considerato uno dei padri della commedia all'italiana. Negli ultimi anni di vita gli è toccato l'ingrato compito di commentare la morte di numerosi e cari colleghi. Lo ha fatto con arguzia e cinismo e senza sentimentalismi. La vena caustica e amarognola delle sue opere, l'aveva di recente riservata alle sue uscite pubbliche. Aveva preso parte al Viola Day di febbraio e al primo no B day nel dicembre scorso a Piazza San Giovanni. E aveva incitato i giovani a tenere duro: «Viva voi, viva la vostra forza, viva la classe operaia, viva il lavoro. Dobbiamo costruire una Repubblica in cui ci sia giustizia, uguaglianza, e diritto al lavoro, che sono cose diverse dalla libertà». Era stato anche a Montecitorio con i colleghi nel luglio 2009 per protestare contro i tagli al Fus. L'Italia era per lui «una penisola alla deriva». Il suo quartiere «d'adozione» a Roma era Monti, l'antica Suburra, con ancora gli artigiani a lavorare sull'uscio, al quale il cineasta aveva dedicato una delle sue ultime opere. Abitava al 29 di via dei Serpenti, in un piccolo loft, un bilocale dai colori sgargianti che poteva essere quello di uno studente fuori sede.
«POSSO CAPIRE QUESTO GESTO» - La notizia della scomparsa del regista ha colto di sorpresa il mondo del cinema e non solo. «Quello che è successo mi ha lasciato estremamente basito» ha commentato il produttore Aurelio De Laurentiis. «Io che lo conoscevo profondamente e sapevo della sua grande dignità e del suo desiderio di essere sempre indipendente e autonomo, posso capire questo gesto. Ultimamente aveva perso anche la vista ma fino all'ultimo era stato capace di una deambulazione perfetta. Insomma una persona sana che non tollerava l'idea di poter dipendere da qualcuno». «Sono attonito» ha detto Carlo Verdone, accogliendo con grande sgomento la notizia della morte tragica di Mario Monicelli. «Era probabilmente una persona stanca di vivere, che non sosteneva più la vecchiaia. L'ho apprezzato molto come grande osservatore e narratore - ha aggiunto l'attore romano - anche se a volte con condividevo il suo cinismo. Era gentile, cordiale, ma di poche parole. Un anno fa - ha ricordato Verdone - mi capitò di fargli gli auguri a Natale. Rimase sorpreso: gli auguri, mi disse, non li fa più nessuno». «Non posso andare avanti: devo dirvi che è morto Mario Monicelli. Lo avremmo tanto voluto qui, ma era malato e adesso non c'è più» ha detto invece Fabio Fazio durante la diretta di Vieni via con me, il programma condotto con Roberto Saviano su Raitre. Il pubblico in studio ha accolto la notizia con un lungo applauso. «Non so che cosa si dirà domani di quello che è successo - ha commentato Giovanni Veronesi -, ma una cosa va detta: non ho mai sentito nessuno che si suicida a novantacinque anni. Era davvero speciale». Veronesi si è detto «scombussolato»: «L'avevo sentito poco tempo fa - ha spiegato - e pur sapendo che era all'ospedale, non lo sono mai andato a trovare. Peccato». «Provo un grande dolore» ha scritto in una nota il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
I SUCCESSI - Monicelli esordì nel cinema giovanissimo con il corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. Padre della commedia all'italiana, con i colleghi come Dino Risi, Luigi Comencini e Steno, è stato regista di oltre 60 film e autore di più di 80 sceneggiature. Quella di Monicelli è stata una vita dedicata interamente al cinema, al ritmo di quasi un film all'anno. Una produzione ininterrotta da I ragazzi della via Paal (1934) fino a Le rose del deserto (2006) e la sua ultima opera, il corto della sua carriera Vicino al Colosseo...c'è Monti, in programma fuori concorso alla 65esima Mostra del Cinema di Venezia. Fra i suoi grandi successi, Guardie e ladri (due premi a Cannes nel '51), nel pieno del suo sodalizio con Totò, I soliti ignoti (nomination all'Oscar), La Grande guerra (1959) trionfatore a Venezia con il Leone d'oro, L'armata Brancaleone (1965). Sono gli anni dell'amicizia con Risi, degli scontri con Antonioni, del controverso rapporto con Comencini, del trionfo della commedia all'italiana e dei "colonnelli della risata". Inventa Monica Vitti attrice comica in La ragazza con la pistola (1968); nel 1975 raccoglie l'ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di Amici miei. Nel 1977 recupera la dimensione tragica con Un borghese piccolo piccolo. Seguono fra gli altri Speriamo che sia femmina (1985) e il feroce Parenti serpenti (1993) con cui dimostra di saper leggere le trasformazioni della società italiana con l'acume e la cattiveria di sempre. È del 2006 il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive, con Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d'Albania di Giancarlo Fusco.
OPERA A NEW YORK - Proprio in questi giorni a New York è stato presentato in chiave retrospettiva un dei film del neorealismo di Mario Monicelli, Risate di Gioia, con Anna Magnani. Il film rientra nell'ambito della retrospettiva che il Linclon Center dedica alla figura di Suso Cecchi D'Amico, che lavorò con Monicelli alla sceneggiatura del film. «Risate di gioia» è stato presentato insieme a una serie di altri sei film del neorealismo italiano.
(link originale dell'articolo: http://www.corriere.it/spettacoli/10_novembre_29/morto-monicelli_7b33060c-fbfd-11df-bfbe-00144f02aabc.shtml)
lunedì 29 novembre 2010
Addio a Leslie Nielsen
lun nov 29 11:21 di Francesco Di Cataldo
E' stato per anni una certezza della risata nelle più celebri commedie comiche e il suo volto è stato forse il più apprezzato dagli amanti dei film divertenti. Leslie Nielsen, con il dispiacere di tutti, è morto poche ore fa dopo una complicazione causata da una infezione da stafilococco.
Il comico, che ha fatto divertire mezzo mondo con "Una pallottola spuntata" e "L'aereo più pazzo del mondo", si è spento all'età di 84 anni in un ospedale vicino alla sua casa di Fort Lauderdale, in Florida, dove era ricoverato per una polmonite, vicino a lui la sua quarta moglie e le sue due figlie.
La sua carriera è stata lunga, nato l'11 febbraio del 1926 a Regina, nella provincia di Saskatchewan in Canada, Leslie, figlio di un poliziotto canadese, ha iniziato prestando servizio nella Royal Canadian Air Force, prima di diventare un annunciatore radiofonico e dj, ma dopo aver vinto una borsa di studio ha iniziato a studiare recitazione e danza che gli ha permesso di comparire in qualche film drammatico. Subito Leslie ha però capito che non era il genere che faceva al caso suo e così si è recato dal suo manager chiedendogli di farlo recitare in una commedia comica, Leslie lo avrebbe fatto anche gratis, senza alcun compenso, purchè fosse stato un film da ridere.
(link originale dell'articolo: http://it.movies.yahoo.com/blog/cinema/article/20501/addio-a-leslie-nielsen.html)
(link originale dell'immagine: http://static.screenweek.it/2009/2/6/Leslie-Nielsen.jpg )
E' stato per anni una certezza della risata nelle più celebri commedie comiche e il suo volto è stato forse il più apprezzato dagli amanti dei film divertenti. Leslie Nielsen, con il dispiacere di tutti, è morto poche ore fa dopo una complicazione causata da una infezione da stafilococco.
Il comico, che ha fatto divertire mezzo mondo con "Una pallottola spuntata" e "L'aereo più pazzo del mondo", si è spento all'età di 84 anni in un ospedale vicino alla sua casa di Fort Lauderdale, in Florida, dove era ricoverato per una polmonite, vicino a lui la sua quarta moglie e le sue due figlie.
La sua carriera è stata lunga, nato l'11 febbraio del 1926 a Regina, nella provincia di Saskatchewan in Canada, Leslie, figlio di un poliziotto canadese, ha iniziato prestando servizio nella Royal Canadian Air Force, prima di diventare un annunciatore radiofonico e dj, ma dopo aver vinto una borsa di studio ha iniziato a studiare recitazione e danza che gli ha permesso di comparire in qualche film drammatico. Subito Leslie ha però capito che non era il genere che faceva al caso suo e così si è recato dal suo manager chiedendogli di farlo recitare in una commedia comica, Leslie lo avrebbe fatto anche gratis, senza alcun compenso, purchè fosse stato un film da ridere.
(link originale dell'articolo: http://it.movies.yahoo.com/blog/cinema/article/20501/addio-a-leslie-nielsen.html)
(link originale dell'immagine: http://static.screenweek.it/2009/2/6/Leslie-Nielsen.jpg )
domenica 28 novembre 2010
E’ stato realmente Voltaire a pronunciare (o scrivere) la frase “Non condivido la tua opinione, ma sono pronto a morire perché tu possa esprimerla”?
No, non è un aforisma originale dell’illuminista. La frase infatti compare per la prima volta in una sua biografia del 1906, Gli amici di Voltaire, opera della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, più nota con lo pseudonimo di Tallentyre.
domenica 21 novembre 2010
Quali erano i principali giochi per adulti nell'antica Grecia?
In primis gli astragali, ossi delle zampe di cane o di capra utilizzati come dadi, e i dadi veri e propri (kyboi); vi era poi la pesseia,un progenitore del gioco degli scacchi, e un gioco particolare, il kottabos, consistente nel versare le gocce rimanenti di vino contenute in una coppa in alcuini vasi lasciati galleggiare in un recipiente d'acqua.
Che cos'era il battaglione sacro?
Era il reparto di fanteria degli eserciti tebano e macedone (dove veniva chiamato anche compagnia degli eteri), formato dai giovani dell'aristocrazia tebana e macedone che condividevano le stesse esperienze di armi e di vita.
Come veniva fabbricata una statua crisoelefantina?
Si preparava un'ossatura di legno su cui venivano lavorate in avorio le parti corporee e in oro le vesti e i capelli. Completavano l'opera applicazioni di colore e inserzioni di pietre preziose. I capolavori più celebri di questo genere di statue sono l'Athena Parthenos e lo Zeus Olimpio di Fidia (V sec a.C.).
Chi erano gli ussari?
Cavalieri dell'esercito prussiano, con funzioni esplorative. Si riconoscevano per il caratteristico pennacchietto sul capo, detto tslpak. Il loro nome deriova dall'ungherese huszar, "ventesimo", in quanto in origine ne veniva arruolato uno ogni venti famiglie.
Chi erano gli ustascia?
I nazionalisti croati che negli anni '30 propugnavano l'uscita del loro paese dal regno serbo-croato-sloveno, ad egemonia serba, costituitosi dopo il disgregamento dell'impero asburgico.
martedì 16 novembre 2010
Dino De Laurentiis
(link originale dell'mmagine: http://biografieonline.it/img/bio/d/Dino_De_Laurentiis.jpg)
Morto a Los Angeles Dino De Laurentiis
Aveva 91 anni, è stato il produttore di alcuni dei più celebri titoli del cinema italiano
Il produttore Dino de Laurentiis, morto oggi a Los Angeles a 91 anni (Olycom)
MILANO - E' morto a Los Angeles il produttore cinematografico Dino De Laurentiis. Era nato a Torre Annunziata l'8 agosto del 1919. Il suo vero nome era Agostino De Laurentiis.
LA CARRIERA - Dino de Laurentiis ha prodotto alcuni tra i film più celebri del cinema italiano, da Riso Amaro (1948) di Giuseppe De Santis a Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo, da Dov'è la libertà? (1954) di Roberto Rossellini a Miseria e nobiltà (1954) di Mario Mattoli e La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, con Alberto Sordi e Vittorio Gassman, Leone d'Oro a Venezia. Nel 1948 con Carlo Ponti ha costituito la Ponti-De Laurentis e ha realizzato il primo film italiano a colori, Totò a colori (1952) per la regia di Steno. Con Federico Fellini sono arrivati poi La strada e Le notti di Cabiria, ambedue premi Oscar per il miglior film straniero. Nel 1957 ha sposato l'attrice Silvana Mangano, morta nel 1989.
(link originale dell'articolo: http://cinema-tv.corriere.it/cinema/10_novembre_11/morto-dino-de-laurentiis_45b2c8f6-ed83-11df-bb83-00144f02aabc.shtml )
giovedì 4 novembre 2010
Tutti i segretari dell’UGL
CISNAL (1950-1996)
Giuseppe Landi (1950-1974)
Giovanni Roberti (1964-1977)
Ivo Laghi (1977-
Mauro Nobilia (1992-1996)
UGL
Mauro Nobilia (1996-1999)
Stefano Cetica (1999-2006)
Renata Polverini (2006-2010)
Giovanni Centrella (2010)
Tutti i segretari della UIL
Tutti i segretari della UIL
FIL (1948-1950)
Italo Viglianesi (1948-1950)
UIL
Italo Viglianesi (1953-1971)
Raffaele Vanni (1971-1976)
Giorgio Benvenuto (1976-1992)
Pietro Larizza (1992-2000)
Luigi Angeletti (2000-)
Tutti i segretari della CISL
Giulio Pastore (1950-1958)
Bruno Storti (1958-1976)
Luigi Macario (1977-1979)
Pierre Carniti (1979-1985)
Franco Marini (1985-1991)
Sergio D’Antoni (1991-2000)
Savino Pezzotta (2000-2006)
Raffaele Bonanni (2006)
Tutti i segretari della CGIL
CGDL (1906-1944)
Rinaldo Rigola (1906-1918)
Ludovico D’Aragona (1918-1925)
Bruno Buozzi (1925-1944)
CGIL
Giuseppe Di Vittorio (1944-1957)
Agostino Novella (1957-1970)
Luciano Lama (1970-1986)
Antonio Pizzinato (1986-1988)
Bruno Trentin (1988-1994)
Sergio Cofferati (1994-2002)
Guglielmo Epifani (2002-2010)
Susanna Camusso (2010-)
mercoledì 13 ottobre 2010
Stadiografia
Le date di erezione e/o di apertura degli stadi calcistici italiani
Stadio Comunale (ora "Artemio Franchi") di Firenze, opera di Pier Luigi Nervi; costruito fra il 1930 e il 1932
Stadio Olimpico di Roma, erede dello Stadio dei Cipressi (1937), inaugurato nel 1953
Stadio Flaminio di Roma, opera di Pier Luigi Nervi, inaugurato nel 1959
Stadio San Siro (o "Giuseppe Meazza") di Milano, inaugurato nel 1926
Arena Civica di Milano, opera di Luigi Canonica, inaugurata nel 1807
Stadio delle Alpi di Torino, progettato dallo Studio Hutter; costruito fra il 1988 e il 1990, inaugurato in occcasione dei Mondiali di calcio, è stato abbattuto nel 2009
Stadio Olimpico di Torino (già Stadio Municipale Benito Mussolini e Stadio Comunale), inaugurato nel 1933
Stadio Luigi Ferraris di Genova, inaugurato nel 1911
Stadio San Paolo di Napoli, inaugurato nel 1959
Stadio Renato Dall'Ara di Bologna (già Stadio Littoriale), aperto nel 1926
Stadio San Nicola di Bari, opera di Renzo Piano, costruito fra il 1987 e il 1990
Stadio Cibali (o Angelo Massimino) di Catania, già Stadio Italo Balbo, inaugurato nel 1937
Stadio La Favorita (o "Renzo Barbera") di Palermo, opera di Giovan Battista Santangelo; inaugurato nel 1932
Stadio Marcantonio Bentegodi di Verona, inaugurato nel 1963
Stadio Cino e Lillo Del Duca di Ascoli, progettato da Costantino Rozzi, costruito fra il 1955 e il 1962
Stadio Sant'Elia di Cagliari, ultimato nel 1970
Stadio San Vito di Cosenza, inaugurato nel 1964
venerdì 1 ottobre 2010
Arthur Penn
(link originale dell'immagine: http://www.sottodiciottofilmfestival.it/immagini/ospiti/2007/Arthur_Penn.jpg)
IL RICORDO/ Arthur Penn, il leone di Hollywood tra western e “miracoli”
Leonardo Locatelli venerdì 1 ottobre 2010
«Per decenni i film western hanno arricchito la realtà del West per renderla più interessante. Ma a metà degli anni Cinquanta molti film misero in questione il mito perpetuato da Hollywood. Arthur Penn, ad esempio, presentò Billy the Kid come un giovane delinquente in cerca di una figura paterna. Mettendo un giornalista a seguire l’intera carriera del giovane criminale, Penn suggeriva quanto la storia fosse distorta fin dall’inizio. Paul Newman interpretava Billy the Kid come un antieroe alla ricerca della propria morte. Non uno spietato assassino o un cordiale criminale: Billy era solo “un ribelle senza causa”. La rabbia e la confusione sono dovuti più a un malessere adolescenziale che iniziava a manifestarsi negli anni Cinquanta che alla realtà del vecchio West».
Con queste parole, all’interno del suo Viaggio nel cinema americano (A Personal Journey with Martin Scorsese Through American Movies, 1995), Martin Scorsese descrive la ventata di assoluta novità portata nel genere cinematografico americano per eccellenza, il western, da Furia selvaggia (Billy the Kid) (The Left-Handed Gun, 1958), l’insolito e prezioso esordio dietro la macchina da presa - ispirato al teledramma The Death of Billy the Kid (1955) di Gore Vidal - di Arthur Penn, il brillante regista teatrale, televisivo e cinematografico statunitense morto lo scorso martedì notte, proprio il giorno dopo il suo ottantottesimo compleanno (era nato infatti il 27 settembre 1922 a Filadelfia da genitori ebrei di origine russa).
Un cineasta per ben tre volte - 1962, 1967 e 1969 - finito nella cinquina dei candidati all’Academy Award per la migliore regia e che solo tre anni e mezzo fa, il 15 febbraio 2007, è stato premiato al Filmfestspiele di Berlino con un Orso d’oro alla carriera (vale a dire una quindicina di pellicole in tutto, per restare alla sola attività cinematografica). Un grande amante della “Nouvelle Vague” di François Truffaut - di cui adorava l’opera prima, I quattrocento colpi (Les 400 coups, 1959), «così simile alla mia infanzia» - e Jean-Luc Godard che ha idealmente aperto la strada ad autori quali Dennis Hopper, Sam Peckinpah, Martin Scorsese, Robert Altman, Steven Spielberg, Terrence Malick, Francis Ford Coppola, Bob Rafelson e Hal Ashby.
Ma non solo: da regista televisivo è stato colui che ha consigliato all’allora candidato democratico alla Casa Bianca John Fitzgerald Kennedy come comportarsi davanti alle telecamere durante il celebre confronto del 1960 con il più quotato candidato repubblicano Richard Milhous Nixon. Inutile ricordare come è andata a finire: ormai è tutto tramandato sui manuali non di cinema ma di storia e di scienze della comunicazione.
Per la sua seconda incursione sul grande schermo - a partire da un teledramma (1957) e da una pièce teatrale (1959) firmati entrambi da William Gibson - si è affidato a una vicenda da lui già diretta sia per la televisione che sulle tavole di Broadway: nel 1962 è stata infatti la volta di Anna dei miracoli (The Miracle Worker), ovvero «la descrizione epica di una battaglia che culmina nella straordinaria scena di 9 minuti tra Annie [Sullivan] e Helen [Keller] intorno al tavolo da pranzo [e] mette con furia l’accento sulla dimensione fisica della battaglia» (Morando Morandini).
Nel 1967 usciva Gangster Story (Bonnie and Clyde), la storia di Bonnie Parker e Clyde Barrow, dove si mostravano per la prima volta gli effetti “speciali” delle pallottole sui corpi delle persone e che terminava con l’uccisione dei due fuorilegge crivellati di colpi durante un’imboscata, il tutto prima in un montaggio serrato e molto frammentato e poi in ralenti. Un film lanciato da uno slogan memorabile («They’re young. They’re in love. And they kill people») apparso quattro anni prima di quello legato all’Alex DeLarge kubrickiano («Being the adventures of a young man whose principal interests are rape, ultra-violence and Beethoven»).
Ecco come ne ha parlato lo stesso Penn: «Il vecchio sistema degli Studios si fondava sull’ipocrisia. C’era una paura costante di essere accusati di infondere nei giovani il fascino per l’illegalità ed è per questo che vennero stabilite norme. Ad esempio, nello stesso fotogramma non si poteva vedere contemporaneamente un colpo di pistola e colui che veniva colpito. Allora era assolutamente necessario un taglio intermedio. Quindi ho pensato che se decidevamo di farlo vedere, l’avremmo fatto come si doveva. Avremmo dovuto mostrare cosa succede quando qualcuno viene colpito. Il colpire qualcuno non rappresenta un fatto asettico: c’è un enorme quantità di sangue e di orrore, quando succede. E ci trovavamo in piena guerra del Vietnam. Quello che si vedeva in televisione era forse addirittura più carico di sangue di ciò che appariva nei film».
Nel 1970, a chiusura di un favoloso e irripetibile decennio creativo, ecco invece Piccolo grande uomo (Little Big Man, 1970) - tratto dal romanzo di Thomas Berger, sceneggiato da Calder Willingham e interpretato da Dustin Hoffman - che, insieme a Soldato blu (Soldier Blue, 1970, Ralph Nelson), Un uomo chiamato cavallo (A Man Called Horse, 1970, Elliot Silverstein) e Corvo rosso non avrai il mio scalpo (Jeremiah Johnson, 1972, Sydney Pollack), ha inaugurato la stagione del western filo-indiano, un tentativo in celluloide di raccontare il lato oscuro del mito della Frontiera, i cui echi arriveranno fino al celebrato e pluripremiato Balla coi lupi (Dances with Wolves, 1990, Kevin Costner).
Pur menzionando queste sole quattro opere, appare chiaro come chi ha smesso di ruggire fosse uno dei veri “leoni” di Hollywood.
(da http://www.ilsussidiario.net/News/Cinema-Televisione-e-Media/2010/10/1/IL-RICORDO-Arthur-Penn-il-leone-di-Hollywood-tra-western-e-miracoli-/116476/)
Tony Curtis
(link originale dell'immagine: http://blog.veryfinebooks.com/wp-content/uploads/2009/01/curtis232.jpg)
di Alberto Crespi
Anni fa avemmo l’onore di assistere, al festival di Berlino, ad una conferenza di Jack Lemmon. Attenzione: non conferenza stampa, ma conferenza tout court. Lemmon era un genio, un uomo coltissimo, ed ascoltarlo parlare di recitazione era come laurearsi all’Actor’s Studio. Parlando di A qualcuno piace caldo, Lemmon disse su Marilyn Monroe una frase che non possiamo non scrivere in inglese: «She drove Billy crazy and I think she drove Tony crazy, but in a different way». Traduzione: faceva impazzire Billy (Wilder) e credo facesse impazzire anche Tony, ma in un senso diverso. Il Tony di cui Lemmon parlava era naturalmente Tony Curtis, suo compare di sventura in quel film meraviglioso: sono i musicisti jazz che assistono a una strage di gangster e, per sfuggire alla morte, si travestono da donne e si rifugiano in un’orchestra femminile nella quale Marilyn canta e suona l’ukulele. Curtis aveva avuto una storia con Marilyn molti anni prima, quando lei si chiamava ancora Norma Jean Baker ed era una delle tante stelline giunte a Hollywood in cerca di fortuna. Sul set di A qualcuno piace caldo, il vecchio amore rinacque, anche se ormai Marilyn era psicologicamente molto instabile – infatti faceva diventar «crazy» anche Wilder – e le cose non potevano funzionare. Anche Tony, all’inizio degli anni ’50, era una stellina. Si arrabattava in piccoli ruoli (ce n’è uno brevissimo in Winchester 73, un bellissimo western di Anthony Mann) ma aveva almeno due carte da giocarsi: era bello in un modo esagerato, ed era ebreo. Il suo vero nome – pochissimi lo ricordano – era Bernhard Schwartz. L’etnia ebraica non garantiva l’ingresso a Hollywood, ma un pochino aiutava, e soprattutto procurava amicizie importanti. Il primo titolo ufficiale nella filmografia di Curtis, risalente al 1949, è How to Smuggle a Hernia Across the Border , «come contrabbandare un’ernia attraverso il confine».
Non meravigliatevi se non l’avete mai visto: era un film “casalingo”, pare molto surrealista, girato dal giovane ma già famoso Jerry Lewis. Tony e Jerry erano amici e lo rimasero sempre. Tra l’altro fu a casa di Jerry che Tony conobbe la sua prima moglie, Janet Leigh, la bionda di Psycho. Per la cronaca la loro splendida figlia è l’attrice Jamie Lee Curtis.
Curtis e le donne, Curtis e la pittura, Curtis e i cavalli. Sempre qualche anno fa, stavolta a Cannes, Tony Curtis venne a presentare durante il festival una sua mostra di pittura. Era diventata la sua grande passione in quel di Las Vegas, dove si era ritirato, e dove è morto. Non ricordiamo quadri bellissimi, ma la nostra incompetenza sull’arte moderna è totale: diciamo che erano coloratissimi, con tonalità molto violente, e una spessa crosta di pittura a coprire le tele. Quasi «action painting», con spazzolate alla Van Gogh. Ai cavalli, da molti anni, aveva aperto le porte del suo ranch: accoglieva tutti i purosangue da corsa in pensione, che gli ippodromi non volevano più. Per molti motivi Tony Curtis ispira solo ricordi e pensieri simpatici.
A qualcuno piace caldo rimane di gran lunga il suo film più famoso, e non sarà casuale se fu la prima scelta per il ruolo: «Quando Billy mi chiamò mi disse che avrei dovuto recitare vestito da donna e io risposi che non c’era alcun problema. Aggiunse che nel cast, con me, ci sarebbero stati Frank Sinatra e Mitzi Gaynor. Una settimana dopo mi telefonò per dirmi che aveva cambiato idea. Pensavo volesse licenziarmi, invece erano gli altri due terzi del cast ad essere cambiati: voleva Jack Lemmon, un nuovo attore che gli sembrava fantastico, e la produzione stava tentando di assicurarsi Marilyn Monroe...».
SPAVALDA IRONIA
Sono molti altri, i film, nella carriera di Curtis, ma siamo sicuri che subito dopo A qualcuno piace caldo vengono, nell’ideale classifica di molti spettatori, i telefilm della serie Attenti a quei due. Caratterizzata dalla sigla di John Barry e dal raffinato contrasto tra l’americano Curtis e l’inglesissimo Roger Moore, Attenti a quei due (in originale The Persuaders) era in effetti tv di altissimo livello, in cui le trame thriller si sposavano perfettamente con la spavalda ironia dei due attori. Non a caso Moore ha ricordato ieri il collega per il grande divertimento che accompagnò le riprese di quel telefilm davvero vintage.
Il Curtis comico può essere goduto anche in commedie come Boeing Boeing, o il delizioso Operazione sottoveste di Blake Edwards – dove l’attore può tornare alle uniformi della U.S. Navy che avevano contraddistinto la sua breve carriera militare. Ma come tutti i commedianti, Curtis poteva essere uno splendido attore drammatico. Rivedetelo, se potete, nello Strangolatore di Boston di Richard Fleischer, un thriller del ’68 fra i più crudeli e inquietanti mai usciti da Hollywood. Ma anche, naturalmente, in Spartacus di Kubrick, possibilmente nei dvd con la famosa sequenza gay censurata in cui Laurence Olivier, nei panni di Crasso, tenta di sedurre Curtis che interpreta il giovane schiavo Antonino. Quando la scena venne reintegrata, occorreva ridoppiarla, e Olivier era scomparso. Lo fece Anthony Hopkins, imitando alla perfezione la voce del grande shakespeariano: e da allora Curtis ha sempre salutato il collega dicendogli «Ciao, sono Antonino». In Italia Curtis ha avuto molte voci, ma la più perfetta e indimenticabile è quella di Pino Locchi, che lo doppia in A qualcuno piace caldo e in Attenti a quei due.
Rivedere quei film significa bearsi di un’arte e di una professionalità difficilmente riscontrabili nel cinema di oggi. Con due scomparse come Arthur Penn e Tony Curtis, nel giro di 48 ore, continua – ahinoi – a chiudersi un’epoca.
01 ottobre 2010
(da http://www.unita.it/news/culture/104141/lultima_risata_di_tony_curtis)
mercoledì 29 settembre 2010
Sandra Mondaini
(immagine tratta da http://www.socialpost.info/wp-content/uploads/2010/07/Sandra-Mondaini.jpg)
L'attrice è deceduta poco prima delle 13 all'ospedale San Raffaele, dove era ricoverata da 10 giorni
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Sandra Mondaini in una casa di cura dopo la morte di Raimondo Vianello (25 aprile 2010)
Lo smarrimento di quella domanda «Cosa farò adesso senza di te?», di I. Bossi Fedrigotti
Addio Vianello, signore dello humour (15 aprile 2010)
Aveva 79 anni. Lo scorso aprile era morto il marito, Raimondo Vianello
È morta a Milano Sandra Mondaini
L'attrice è deceduta poco prima delle 13 all'ospedale San Raffaele, dove era ricoverata da 10 giorni
Sandra Mondaini con il marito, Raimondo Vianello (Ansa)
MILANO - L'attrice Sandra Mondaini è morta, martedì mattina poco prima delle 13, all'ospedale San Raffaele di Milano dove era ricoverata da circa 10 giorni. Aveva 79 anni: era nata l'1 settembre del 1931. Lo scorso aprile era morto il marito, Raimondo Vianello, e lei era rimasta molto provata, tanto da essere ricoverata anche in una casa di cura.
LA CARRIERA - Attrice brillante che puntava sulla comicità pura e sulla recitazione, Sandra Mondaini è stata protagonista di un susseguirsi di sketch indimenticabili che hanno segnato la sua carriera. I più famosi sono quelli con il marito Raimondo Vianello, fra i quali spicca la sit-com Mediaset del 1988 «Casa Vianello» - che ha lanciato il celebre tormentone del «che barba, che noia»nel lettone matrimoniale - , anche se i suoi primi sketch «coniugali» furono quelli recitati con Corrado a «La Trottola» nel 1964. Tra i personaggi interpretati senza il marito, uno di quelli più rimasti nell'immaginario collettivo è quello del clown «Sbirulino», apprezzato non solamente dai bambini.
Addio alla Mondaini
IL DEBUTTO - Nata il primo settembre del 1931, figlia di Giacinto Mondaini, Sandra diventa famosa già da piccolissima, quando il padre la fa comparire a soli sei mesi in una campagna di sensibilizzasione contro la tubercolosi. Giovanissima, negli anni Quaranta, aiuta la famiglia lavorando come modella per la rivista «Mani di Fata» e poi per Borsalino. Il debutto sul palcoscenico risale al 1949 con una parte nella commedia «Ghe pensi mi» di Marcello Marchesi, al Teatro Olimpia di Milano. Quattro anni dopo inizia la carriera sul grande schermo. Nello stesso anno entra nella compagna di rivista di Erminio Macario. Ma la notorietà arriva con la tv. Sandra è sul piccolo schermo dal primo giorno trasmissioni Rai con «Settenote», poi con altri programmi e, al fianco di Mike Bongiorno, in «Fortunatissimo».
LE ULTIME ORE - «Sono stato da lei lunedì pomeriggio per darle l'olio degli infermi e la benedizione. Stava già male, respirava con affanno e aveva l'ossigeno. Quando sono arrivato, ha aperto gli occhi: le ho accarezzato la mano e ho avuto la sensazione che fosse presente». Così racconta gli ultimi momenti di Sandra Mondaini, don Walter Magni, parroco della Chiesa di Dio Padre a Segrate, che ha celebrato il funerale di Raimondo Vianello, morto il 15 aprile scorso. Anche l'estremo saluto a Sandra sarà probabilmente celebrato nella stessa chiesa, come di consuetudine entro due giorni dalla morte: «So che era sua volontà - dice all'Ansa don Walter - che la celebrazione avvenisse nello stesso luogo. Presumo entro due giorni, forse giovedì». Però, ammette il sacerdote, «non ci sono ancora stati contatti ufficiali per definire gli orari».
Redazione online
21 settembre 2010(ultima modifica: 22 settembre 2010)
(da http://www.corriere.it/cronache/10_settembre_21/morta-sandra-mondaini_0cad2e48-c574-11df-b273-00144f02aabe.shtml)
Vincenzo Crocitti
(immagine tratta da http://www.corriere.it/Media/Foto/2010/09/29/crocitti--140x180.jpg)
Roma, 29 set. (2010, scil.; Adnkronos) - L'attore Vincenzo Crocitti, protagonista di popolari serie tv, è morto la notte scorsa a Roma, dopo una lunga malattia, all'età di 61 anni. Esordì nel mondo del cinema con il musicarello 'Nel sole' (1967), con Al Bano e Romina Power, e a 28 anni recitò la parte dell'amato figlio di Alberto Sordi in 'Un borghese piccolo piccolo' (1977) di Mario Monicelli, proseguendo la carriera con numerosi film della commedia all'italiana. Tra gli altri titoli è apparso in 'Rag. Arturo De Fanti, bancario precario', 'Melodrammore' (1977), 'Romanzo popolare', 'Il colonnello Buttiglione diventa generale', 'I sette magnifici cornuti'.
In tv ha fatto parte del cast dello sceneggiato 'Orzowei' (1976) e dalla fine degli anni Novanta è stato spesso protagonista sul piccolo schermo: dal 1998 al 2007 ha vestito i panni del dottor Mariano Valenti nella serie di Rai Uno 'Un medico in famiglia' e dal 2002 al 2007 ha interpretato il vicebrigadiere Vittorio Bordi nella fiction 'Carabinieri' su Canale 5.
Nato a Roma il 16 luglio 1949, Vincenzo Crocitti iniziò la carriera di attore giovanissimo e allo stesso tempo trovò impiego a Cinecittà come assistente e poi aiuto del montatore Enzo Micarelli. Dal 1970 intraprese una regolare carriera d'attore, partecipando a molti film. In teatro, insieme a Gianni Pulone, si è dedicato a lavori destinati ai ragazzi.
Nel 1977 il ruolo del figlio di Alberto Sordi in 'Un borghese piccolo piccolo' gli valse il Nastro d'argento e il David di Donatello. In teatro lavora, fra gli altri, anche con Giorgio Strehler ('La grande magia' di De Filippo, stagione 1981-82) e nel 1995-96 ottiene un personale successo con la commedia 'Uomini stregati dalla luna'. Per la televisione lavora in alcuni film e sceneggiati, come 'Illa: punto di osservazione', 'Aeroporto internazionale', 'Morte di una strega', 'Indizio fatale', 'La casa delle beffe'. La sua ultima apparizione è stata in un epidosio dello sceneggiato Mediaset 'I Cesaroni' nel 2008.
(da http://it.tv.yahoo.com/29092010/8/addio-vincenzo-crocitti-attore-medico-in-famiglia-carabinieri.html)
mercoledì 15 settembre 2010
Albo d'oro del concorso di miss Italia
1939 Isabella Vernay
1940 Gianna Maranesi
1941 Adriana Serra
1946 Rossana Martini
1947 Lucia Bosè
1948 Fulvia Franco
1949 Mariella Giampieri
1950 Anna Maria Bugliari
1951 Isabella Valdettaro
1952 Eloisa Cianni
1953 Marcella Mariani
1954 Eugenia Bonino
1955 Brunella Tocci
1956 Nives Zegna
1957 Beatrice Faccioli
1958 Paola Falchi
1959 Marisa Jossa
1960 Layla Bigazzi
1961 Franca Cattaneo
1962 Raffaella De Carolis
1963 Franca Dallolio
1964 Mirka Sartori
1965 Alba Rigazzi
1966 Daniela Giordano
1967 Cristina Businari
1968 Graziella Chiappalone
1969 Anna Zamboni
1970 Alda Balestra
1971 Maria Pinnone
1972 Adonella Modestini
1973 Margareta Veroni
1974 Loredana Piazza
1975 Livia Jannoni
1976 Paola Bresciano
1977 Anna Kanakis
1978 Loren Cristina Mai
1979 Cinzia Fiordeponti
1980 Cinzia Lenzi
1981 Patrizia Nanetti
1982 Federica Moro
1983 Raffaella Baracchi
1984 Susanna Huckstep
1985 Eleonora Resta
1986 Roberta Capua
1987 Michela Rocco di Torrepadula
1988 Nadia Bengala
1989 Eleonora Benfatto
1990 Rosangela Bessi
1991 Martina Colombari
1992 Gloria Zanin
1993 Arianna David
1994 Alessandra Meloni
1995 Anna Valle
1996 Denny Mendez
1997 Claudia Trieste
1998 Gloria Bellicchi
1999 Manila Nazzaro
2000 Tania Zamparo
2001 Daniela Ferolla
2002 Eleonora Pedron
2003 Francesca Chillemi
2004 Cristina Chiabotto
2005 Edelfa Chiara Masciotta
2006 Claudia Andreatti
2007 Silvia Battisti
2008 Miriam Leone
2009 Maria Perrusi
2010 Francesca Testasecca
2011 Stefania Bivone
2012 Giusy Buscemi
2013 Giulia Arena
2014 Clarissa Marchese
2015 Alice Sabatini
2016 Rachele Risaliti
2017 Alice Rachele Arlanch
2018 Carlotta Maggiorana
2019 Carolina Stramare
2020 Martina Sambucini
2021 Zeudi di Palma
2022 Lavinia Labate
2023 Francesca Bergesio
martedì 14 settembre 2010
Pietro Calabrese
Addio a Pietro Calabrese,
una vita per il giornalismo
(immagine proveniente dalla pagina http://www.rainews24.it/ran24/immagini/calabrese_pietro.jpg)
di Roberto Napoletano
«Sai, il Messaggero mi ha fatto uomo e direttore, mi sembra una buona regola di civiltà che si chieda di tornare a scrivere a chi ha fatto un po’ di giri». Venerdì nove aprile con Pietro Calabrese, seduti intorno a un tavolino in una sala da tè, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, abbiamo consumato due tisane e conversato un’ora e mezzo. Abbiamo parlato di tutto. Di amici comuni che non ci sono più come Napoleone Colajanni, di Totti, di Roma, del primo ministro francese Fillon che impazzava (ahinoi!) sui giornali italiani, della politica, della sua malattia e di Gino lo pseudonimo che aveva scelto per raccontarla.
La frase che mi è rimasta più impressa, però, è questa: «Sai, il Messaggero mi ha fatto uomo e direttore...» Pietro parlava con gli occhi, due occhi azzurri che sprigionavano vita. Lo stesso lampo si accendeva ogni volta che mi chiedeva di via del Tritone, della sua redazione, del suo giornale, della «sua casa». Praticamente ogni cinque minuti, come era giusto e anche naturale, perché il cuore lo portava sempre lì, in una miscela specialissima fatta di ricordi personali, curiosità e grandi emozioni professionali, la magia mai smarrita del giornale di Roma, il cordone ombelicale che lo lega alla città e ai lettori.
Gli avevo chiesto di tornare a scrivere per il suo giornale, sapevo di interpretare anche un desiderio dell’editore e dei lettori, e lui era entusiasta. Poi il saluto. «Dammi qualche giorno, il primo lo voglio curare bene». «Fai presto, so che lo hai già in testa». Nel pomeriggio l’articolo era pronto. Iniziava così: «Mi piacerebbe che il direttore di questo giornale mandasse i suoi più gagliardi cronisti a Corviale o a Tor Bella Monaca con una sola domanda nel taccuino: chi è Fillon e perché si parla tanto di lui? E poi leggere le risposte degli intervistati. La maggior parte dei quali guarderebbe i giornalisti del Messaggero come alieni, e qualcuno tra i più scafati azzarderebbe: non è il mediano del Lione che sta trattando la Roma?».
Questo era Pietro, diretto, leggero e profondo allo stesso tempo. Gli dissi: «Il tuo ritorno al Messaggero lo annuncio con un distico. In coda, metterei bentornato a casa...» Silenzio, secondi lunghissimi, poi una sola parola: grazie.
Venerdì dieci settembre, ore venti, clinica Paideia, terzo piano, stanza 312. Sono lì perché mi hanno detto che le condizioni di Pietro sono peggiorate. Sulla porta c’è un cartello: il paziente riposa, non disturbare. Mi fermo. Nel corridoio c’è Costanza, la figlia, mi viene incontro: «Incredibile, ha ripreso conoscenza qualche attimo fa, si è occupato di me e mamma, e poi ha subito detto: mi raccomando, domenica sul Messaggero deve uscire Settecolli». Costanza si apparta con la madre Barbara, parlano tra di loro e con i medici, mi fanno un cenno. Entro nella stanza per l’ultimo saluto, intorno a lui ci sono Stefano Barigelli e Rita Pinci, il dolore stampato sul volto. La penombra me lo rende sofferente, domato, ma ancora lui. Il giorno della sua morte sul Messaggero c’è la sua rubrica. L’ultimo desiderio, il segno di un destino. Ciao, Pietro.
(articolo tratto da http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=118662&sez=HOME_INITALIA)
una vita per il giornalismo
(immagine proveniente dalla pagina http://www.rainews24.it/ran24/immagini/calabrese_pietro.jpg)
di Roberto Napoletano
«Sai, il Messaggero mi ha fatto uomo e direttore, mi sembra una buona regola di civiltà che si chieda di tornare a scrivere a chi ha fatto un po’ di giri». Venerdì nove aprile con Pietro Calabrese, seduti intorno a un tavolino in una sala da tè, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, abbiamo consumato due tisane e conversato un’ora e mezzo. Abbiamo parlato di tutto. Di amici comuni che non ci sono più come Napoleone Colajanni, di Totti, di Roma, del primo ministro francese Fillon che impazzava (ahinoi!) sui giornali italiani, della politica, della sua malattia e di Gino lo pseudonimo che aveva scelto per raccontarla.
La frase che mi è rimasta più impressa, però, è questa: «Sai, il Messaggero mi ha fatto uomo e direttore...» Pietro parlava con gli occhi, due occhi azzurri che sprigionavano vita. Lo stesso lampo si accendeva ogni volta che mi chiedeva di via del Tritone, della sua redazione, del suo giornale, della «sua casa». Praticamente ogni cinque minuti, come era giusto e anche naturale, perché il cuore lo portava sempre lì, in una miscela specialissima fatta di ricordi personali, curiosità e grandi emozioni professionali, la magia mai smarrita del giornale di Roma, il cordone ombelicale che lo lega alla città e ai lettori.
Gli avevo chiesto di tornare a scrivere per il suo giornale, sapevo di interpretare anche un desiderio dell’editore e dei lettori, e lui era entusiasta. Poi il saluto. «Dammi qualche giorno, il primo lo voglio curare bene». «Fai presto, so che lo hai già in testa». Nel pomeriggio l’articolo era pronto. Iniziava così: «Mi piacerebbe che il direttore di questo giornale mandasse i suoi più gagliardi cronisti a Corviale o a Tor Bella Monaca con una sola domanda nel taccuino: chi è Fillon e perché si parla tanto di lui? E poi leggere le risposte degli intervistati. La maggior parte dei quali guarderebbe i giornalisti del Messaggero come alieni, e qualcuno tra i più scafati azzarderebbe: non è il mediano del Lione che sta trattando la Roma?».
Questo era Pietro, diretto, leggero e profondo allo stesso tempo. Gli dissi: «Il tuo ritorno al Messaggero lo annuncio con un distico. In coda, metterei bentornato a casa...» Silenzio, secondi lunghissimi, poi una sola parola: grazie.
Venerdì dieci settembre, ore venti, clinica Paideia, terzo piano, stanza 312. Sono lì perché mi hanno detto che le condizioni di Pietro sono peggiorate. Sulla porta c’è un cartello: il paziente riposa, non disturbare. Mi fermo. Nel corridoio c’è Costanza, la figlia, mi viene incontro: «Incredibile, ha ripreso conoscenza qualche attimo fa, si è occupato di me e mamma, e poi ha subito detto: mi raccomando, domenica sul Messaggero deve uscire Settecolli». Costanza si apparta con la madre Barbara, parlano tra di loro e con i medici, mi fanno un cenno. Entro nella stanza per l’ultimo saluto, intorno a lui ci sono Stefano Barigelli e Rita Pinci, il dolore stampato sul volto. La penombra me lo rende sofferente, domato, ma ancora lui. Il giorno della sua morte sul Messaggero c’è la sua rubrica. L’ultimo desiderio, il segno di un destino. Ciao, Pietro.
(articolo tratto da http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=118662&sez=HOME_INITALIA)
Claude Chabrol
E' morto il regista francese Claude Chabrol
Nel 2009 aveva ricevuto a Berlino il premio alla carriera
(immagine proveniente dalla pagina http://www.fest21.com/files/images/Claude%20Chabrol%201.jpg)
12/09/2010
Parigi, 12 set. (Apcom) - Il regista francese Claude Chabrol è morto stamattina all'età di 80 ani. Figlio di un farmacista, Chabrol era nato a Parigi il 24 giugno 1930. Esponente della Nouvelle Vague con Francois Truffaut e Jean-Luc Godard, tra i suoi numerosi film si ricordano "Beau Serge" (1958), "Violette Nozière" (1978), "Grazie per la cioccolata" (2000) e l'ultimo realizzato, "L'innocenza del peccato" (2007). Nel 2009 aveva ricevuto al Festival di Berlino il premio alla carriera, la Berlinale Camera. Era "un immenso cineasta francese, libero, impertinente, politico e prolisso", ha commentato Christophe Girard, annunciando la sua morte all'Afp.
(articolo tratto da http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Ultima%20Ora/182531_e_morto_il_regista_francese_claude_chabrol/)
Nel 2009 aveva ricevuto a Berlino il premio alla carriera
(immagine proveniente dalla pagina http://www.fest21.com/files/images/Claude%20Chabrol%201.jpg)
12/09/2010
Parigi, 12 set. (Apcom) - Il regista francese Claude Chabrol è morto stamattina all'età di 80 ani. Figlio di un farmacista, Chabrol era nato a Parigi il 24 giugno 1930. Esponente della Nouvelle Vague con Francois Truffaut e Jean-Luc Godard, tra i suoi numerosi film si ricordano "Beau Serge" (1958), "Violette Nozière" (1978), "Grazie per la cioccolata" (2000) e l'ultimo realizzato, "L'innocenza del peccato" (2007). Nel 2009 aveva ricevuto al Festival di Berlino il premio alla carriera, la Berlinale Camera. Era "un immenso cineasta francese, libero, impertinente, politico e prolisso", ha commentato Christophe Girard, annunciando la sua morte all'Afp.
(articolo tratto da http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Ultima%20Ora/182531_e_morto_il_regista_francese_claude_chabrol/)
venerdì 9 luglio 2010
Lelio Luttazzi
(da http://www.davidecamera.com/Lelio%20Luttazzi.jpg)
MILANO - Il maestro e compositore Lelio Luttazzi è morto stanotte nella sua casa, a Trieste. Lo si è appreso dal suo amico e agente, Roberto Podio, portavoce della famiglia. Aveva 87 anni e soffriva da tempo di una neuropatia.
IL RITRATTO - Lelio Luttazzi era nato a Trieste (la «sua» Trieste) il 27 aprile del 1923: aveva compiuto 87 anni. È stato uno dei personaggi di maggior successo della canzone italiana degli anni '50 e '60 ma soprattutto un protagonista della televisione, dell'epoca d'oro di Studio Uno, della radio e del cinema. Tra i primi ad inserire nella canzone italiana le strutture del jazz, un modo di comporre "swingato" che ha il suo primo esempio in «Muleta mia», una canzone scritta per Teddy Reno. Ma, rimanendo nell'ambito musicale, i titoli delle composizioni di Luttazzi comprendono «Una zebra a pois», cantata da Mina, «Il giovanotto matto», il classico di Ernesto Bonino, «Il favoloso Gershwin», «Promesse di marinaio» fino a quella che rimane la sua interpretazione più famosa e nostalgica, «El can de Trieste». Luttazzi è cresciuto nella stagione in cui nascevano la radio e la televisione moderne e, come tanti altri suoi colleghi, aveva iniziato la sua carriera nella rivista teatrale dove aveva scritto le musiche soprattutto per i testi di Scarnicci e Tarabusi come «Barbanera bel tempo si spera» con Ugo Tognazzi ed Elena Giusti, «Tutte donne meno io» con Macario e Carla Del Poggio nella quale era inserita la celebre «Souvenir d'Italie». Luttazzi apparteneva a quella figura tipica della televisione, del musicista con capacità comiche ed intrattenitore, un ruolo che lo ha portato a condurre programmi come «Ieri e Oggi», «Studio Uno», «Il Paroliere». Probabilmente l'apice della popolarità lo ha toccato grazie ad «Hit Parade» uno dei più longevi programmi radiofonici, uno dei primi esempi italiani di trasmissione dedicata alle classifiche trattate con lo spirito del varietà. L'annuncio con il titolo dilatato ('Hiiiiiit Parade!!) come in uno spettacolo di Broadway è rimasto nella memoria del pubblico italiano che seguiva la radio negli anni '60-'70. Così come molti suoi colleghi dell'epoca, Lelio Luttazzi ha frequentato molto anche il cinema, scrivendo colonne sonore e partecipando anche come attore. Nel primo ruolo ha firmato anche alcuni film di Totò come il celebre «Toto, Peppino e la Malafemmina» o «Totò lascia o raddoppia?». La sua più conosciuta apparizione di attore è del 1965 ne «L'Ombrellone» di Dino Risi. Buon musicista, pianista innamorato del jazz, Luttazzi è stato un personaggio che ha visto interrompersi bruscamente la sua parabola artistica quando è rimasto coinvolto in una vicenda di droga dai contorni mai chiariti della quale è risultato in un primo tempo responsabile di colpe che non erano tutte sue. Questo episodio, insieme all'atteggiamento di alcuni colleghi che gli erano più vicini e che certo non lo hanno aiutato in quel momento così difficile, hanno spinto Luttazzi ad una volontà di esilio da quale è uscito soltanto raramente per qualche piccolo spettacolo con alcuni musicisti amici.
Redazione online
08 luglio 2010
(da http://www.corriere.it/spettacoli/10_luglio_08/morto-lelio-luttazzi_3ad65e1c-8a59-11df-966e-00144f02aabe.shtml)
venerdì 2 luglio 2010
Gary Coleman
(da http://www.forumsalute.it/public/data/RekoJ/2008423151639_gary-coleman.jpg)
L'attore aveva 42 anni, è morto in un ospedale dello Utah dove era stato ricoverato dopo una caduta. Bambino prodigio celebre per la serie tv conosciuta in Italia come "Il mio amico Arnold", ha sempre avuto problemi di salute. Negli anni recenti aveva partecipato ad alcuni film ma da qualche tempo lavorava come guardia privata
di PAOLO GALLORI
Gary Coleman
in una foto
di pochi anni fa
SALT LAKE CITY - Il piccolo Arnold non ce l'ha fatta. L'attore Gary Coleman, 42 anni, protagonista della celebre sitcom, è morto a seguito di una emorragia cerebrale dopo una caduta nella sua casa a Salt Lake City, nello Utah. Coleman era entrato in coma fino a essere mantenuto in vita solo con le macchine. Poi, la notizia del decesso. Dopo una vita segnata da problemi di salute, fin dalla più tenera età.
In onda negli Stati Uniti dal 1978 al 1986, la serie Il mio amico Arnold arrivò al pubblico italiano negli anni Ottanta, quando Canale 5, ormai rete nazionale, ne fece un punto fermo della sua programmazione. Il segreto del successo era tutto concentrato nelle fattezze del protagonista assoluto dello show: un bambino afroamericano, piccolo e grassottello, dalla battuta fulminante e dall'irresistibile senso dell'umorismo. Per chi ha vissuto quella stagione televisiva, resta indimenticabile il "Che cavolo stai dicendo, Willis!", con cui il ragazzino rimbrottava il fratello, alto e dinoccolato, interpretato dall'attore Todd Bridges. Arnold e Willis, due ragazzi neri cresciuti nel ghetto e atterrati come meteore nella dimensione altoborghese di una famiglia bianca, composta dall'algido signor Philip Drummond e da sua figlia Kimberly.
Nessuno, all'epoca, avrebbe mai sospettato che Arnold non fosse un attore-bambino dal talento straordinario. Ma pian piano la verità venne a galla. Gary Coleman, nato a Zion, Illinois, nel 1968, non era un piccolo e grassottello ragazzino nero, ma un uomo, adulto e minato nel fisico. Il suo sviluppo era stato compromesso da una forma di insufficienza renale che lo aveva torturato fin dall'infanzia. Nei suoi anni verdi Coleman passò attraverso due trapianti di ren, ma non riuscì a sottrarsi alla dialisi, suo malgrado compagna di una vita.
Quando per l'uomo Gary divenne insostenibile mantenere le sembianze del bambino Arnold, la tv lo abbandonò. Lo spettacolo Usa lo ricordò citandolo in episodi dei cartoon The Simpson e i Griffin, nel 1996 apparve in un episodio della serie Willy, il principe di Bel Air, protagonista l'aspirante superstar Will Smith. Si ricordò di lui persino Meteore, il programma Mediaset che regalava una nuova serata di gloria alle stelle (in)dimenticate del passato. Ma il passato non può tornare. E dal passato di Gary affiora anche una brutta storia di violenza domestica, quella che Coleman usò contro Shannon Price, la donna che sposò nel 2007.
Prima che quell'ombra ne scalfisse l'immagine, Coleman aveva tentato anche la carta della politica. Nel 2003 annunciò la sua candidatura a governatore della California. Ma, ironia della sorte, il destino volle che nella sua corsa alla prestigiosa poltrona il "piccolo Arnold" si scontrasse con la candidatura di un "grande Arnold": Schwarzenegger, l'ex culturista inventatosi attore e reso popolarissimo dai ruoli interpretati in Terminator e mille altri film d'azione. Coleman cercò di ritirarsi per appoggiare l'avversario, ma essendo ormai ufficialmente iscritto nella lista non riuscì a farsi depennare. Chiuse l'esperienza con 14.282 preferenze (0,16%), ottavo su 135 candidati.
Tra un cameo e un'apparizione casuale, Gary Coleman lavorava come guardia privata. Proprio in occasione di uno dei suoi sporadici ritorni in tv, lo scorso febbraio, durante le riprese della trasmissione televisiva The Insider, Coleman era stato colto da un malore. Forse un segnale della fine, forse no. Ma Arnold se n'era già andato da tempo.
(28 maggio 2010)
(da http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/05/28/news/addio_arnold_morto_gary_coleman-4416188/)
lunedì 28 giugno 2010
Aldo Giuffrè
(da http://www.leggonline.it/LeggoNews/HIGH/20100627_aldo.jpg)
MILANO - E' morto a Roma Aldo Giuffre': aveva 86 anni compiuti il 10 aprile scorso. Era a nato a Napoli nel 1924. Lo ha reso noto all'ANSA il fratello Carlo. Il grande attore teatrale e cinematografico si e' spento dopo un'operazione per una peritonite al San Filippo Neri.
SCOMPARE LA META' DI CARLO, DOPPIO SUL PALCO
di Elisabetta Stefanelli - Il primo e grande maestro per lui fu Edoardo De Filippo, con il quale studiò e lavorò in una lunga gavetta con il fratello Carlo: ma Aldo, attore versatile come sapeva essere attraversò ogni mezzo espressivo, dalla radio, al cinema, alla tv passando dai ruoli comici a quelli drammatici. Nato a Napoli il 10 aprile del 1924, e scomparso nella notte a Roma, debuttò in teatro nel 1942 con la compagnia di Eduardo De Filippo in Napoli milionaria. Esordì poi come annunciatore radiofonico non ancora ventenne, e dai microfoni di Via Asiago annunciò, il 25 aprile 1945, la fine della guerra. Aveva una bellissima voce che all'inizio degli anni ottanta però, in seguito ad un'operazione alla gola perse il suo bel timbro pastoso napoletano ma non gli impedì di continuare nella recitazione. Fino alla fine degli anni Cinquanta lavorò soprattutto in teatro, con qualche pausa cinematografica da caratterista di lusso.
Al cinema esordì nel 1947 in Assunta Spina di Mario Mattioli in una ruolo drmattico, poi recitò in Ieri oggi e domani di De Sica, o Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, ma partecipò anche negli anni settanta nelle commediole a sfondo erotico. Ma non si negò nemmeno alla fiction televisiva (La figlia del capitano) e sul piccolo schermo raggiunse la popolarità anche come conduttore di varietà come Senza rete nel 1973. Nel 1972 il fratello Carlo lo convinse a recitare insieme: nacque così la compagnia dei due Giuffré che collezionò una lunga serie di successi, molto dei quali provenienti dal grande repertorio classico napoletano. In 15 anni misero insieme, tra l' altro, Francesca da Rimini, Pascariello surdato congedato di Petito, A che servono questi quattrini di Curcio, La Fortuna con l' effe maiuscola di De Filippo e Curcio.
Di nuovi divisi nel 1987, sono tornati a calcare le scene insieme nel 1994 in un'occasione storica come la riapertura del Teatro Verdi di Salerno per recitare La fortuna con la F maiuscola. E' stato, tra l'altro, anche scrittore ed autore di romanzi come quello dedicato ai guitti Coviello, in un logorante cammino teatrale nella provincia italiana che Giuffré aveva conosciuto dal 1947, quando iniziò la sua carriera di attore. A sessant'anni da quel debutto Aldo Giuffré, con inesauribile vivacità continuava a guardare avanti e scrivere: "I teatranti Io sono uno di loro. Questo è certo. Quei difetti sono i miei difetti, quelle ingenuità sono le mie ingenuità, quelle fatiche hanno visto anche il mio sudore, quelle delusioni hanno visto anche le mie amarezze. Sono riuscito solo a star lontano da certe umane miserie: dalle invidie e dai complessi d'inferiorità. Per il resto sono e rimango un teatrante".
(da http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/protagonisti/2010/06/27/visualizza_new.html_1846732676.html)
mercoledì 28 aprile 2010
Furio Scarpelli
ROMA (28 aprile) - È morto lo scrittore Furio Scarpelli. Lo ha annunciato il nipote, Filiberto Scarpelli. Vignettista e sceneggiatore insuperabile, considerato un padre della commedia all'italiana, Scarpellli si è spento poco dopo la mezzanotte, aveva da poco compiuto i 90 anni.
Con Age ha firmato capolavori come I soliti ignoti, la Grande Guerra e I Mostri. Figlio di Filiberto Scarpelli, fondatore del giornale umoristico romano Il travaso delle idee, ha lavorato per anni con Age (Agenore Incrocci), con il quale formava la storica coppia Age &Scarpelli. Insieme hanno firmato capolavori come I soliti ignoti e la Grande Guerra di Mario Monicelli, I Mostri di Dino Risi, C'eravamo tanto amati e La terrazza di Ettore Scola. Del duo Age & Scarpelli anche la sceneggiatura de Il Buono il brutto e il cattivo di Sergio Leone. Cessato il sodalizio con Age a metà degli anni Ottanta, Scarpelli ha collaborato a lungo con Scola ma anche con giovani autori e registi, tra cui Francesca Archibugi e Paolo Virzì.
Virzì: maestro di antiretorica. «Mi sento devastato, perduto come un bimbo. È stato un maestro di antiretorica, la sua opera è stata la medicina che ci ha guarito dal fascismo», così Paolo Virzì, che di Furio Scarpelli è stato allievo, commenta la morte del maestro. «Forse non è chiaro a tutti chi fosse Furio - dice Virzì - i giornali scriveranno: un maestro di sceneggiatura, il principale artefice della migliore Commedia all'Italiana, l'autore delle storie dei film popolari più belli, più intensi, più divertenti e intelligenti che abbiamo mai avuto in Italia». Ma Furio, aggiunge, «era soprattutto una persona meravigliosa. Un maestro, sì, ma di antiretorica e di umanità. I suoi occhi curiosi, sempre spiritosi e compassionevoli, guardavano le persone e le penetravano, canzonandole e coccolandole col suo affetto e la sua ironica dolcezza da romanziere immenso. Era un genio, dal talento insuperabile di dialoghista, disegnatore, e però era anche una persona generosa ed umile, e ha sempre preferito sottrarsi all'esibizione di sè, dedicandosi piuttosto al trasmettere il proprio insegnamento alle persone, specie più giovani, che ha avuto vicino, come un autentico maieuta. E in tantissimi lo abbiamo adorato. Chi lo ha conosciuto e amato si è abbeverato al suo spirito e al suo sguardo sul mondo e sulla vita».
Veltroni: fine intellettuale che ha onorato il Paese. «Furio era una persona colta e ironica, con una grande passione civile ed una innata signorilità». Lo dice Walter Veltroni, parlando della scomparsa di Furio Scarpelli. «Ha inventato storie meravigliose e reso giustizia al valore assoluto della fantasia. Era un fine intellettuale con un profondo senso del valore di un linguaggio popolare. Ha fatto grande il cinema italiano. Ha onorato il Paese che amava e che lo faceva soffrire. Mi dispiace molto, davvero molto», aggiunge Veltroni.
domenica 18 aprile 2010
Raimondo Vianello
(immagine tratta da http://www.haisentito.it/img/raimondo-vianello-mortow.jpg)
15 aprile 2010.
ADDIO a un gran signore del piccolo schermo, un volto celebre che ha fatto davvero la storia della tv italiana, fin dalla sua nascita: Raimondo Vianello è morto - intorno alle 7 - all'ospedale San Raffaele di Milano, dove era stato ricoverato qualche giorno fa. Accanto a lui, anche se gravemente ammalata, Sandra Mondaini: la prima a piangere una scomparsa che lascia un vuoto enorme, nel mondo dello spettacolo. Dalle mitiche gag con Ugo Tognazzi, ai decenni di esibizione in coppia con la moglie, lo humour leggero dell'attore e conduttore, la sua levità, hanno fondato e poi arricchito il varietà televisivo.
Nato a Roma il 7 maggio del 1922, figlio di ammiraglio, cresciuto a Spalato, aderisce alla Repubblica di Salò, e per questo viene rinchiuso nel campo di prigionia di Coltano (dove c'erano, tra gli altri, anche Walter Chiari ed Enrico Maria Salerno). Finita la guerra, non sembra appassionarsi molto alle possibilità legate alla sua laurea in giurisprudenza. E coltiva già un umorismo di tipo britannico, sottile e sornione. L'inizio della carriera nello showbiz è però abbastanza casuale: alto, biondo, allampanato, viene scelto per interpretare un soldato nella rivista Cantachiaro di Garinei e Giovannini. Un debutto in sordina, il suo, ma all'insegna di un marchio di grande qualità nell'ambito dell'intrattenimento, la premiata ditta G&G. E' il 1950, lui ha 28 anni.
Da allora, praticamente, non si ferma più. Perché, subito dopo la sua prima volta sul palcoscenico, comincia a lavorare con partner blasonati: Carlo Dapporto, Macario, Gino Bramieri. E soprattutto Ugo Tognazzi, con cui comincia a fare coppia fissa, artisticamente parlando. E' il primo dei due incontri decisivi, nella sua carriera. Ma il secondo, avvenuto nel 1959, è cruciale anche per la sua vita privata: conosce infatti Sandra Mondaini, la sposa, e comincia un sodalizio sentimentale e professionale che durerà una vita.
Ma torniamo a quegli effervescenti anni Cinquanta. Nel 1954 Vianello è il mattatore, insieme a Tognazzi, del divertentissimo show Un, due, tre. I loro sketch, spesso irriverenti nei confronti dei potenti, fanno discutere, oltre che ridere. E quando, nel '59, arriva sul piccolo schermo la parodia del presidente Gronchi che scivola a una serata col collega francese De Gaulle, la censura non perde tempo, e il programma viene sospeso.
Negli anni Sessanta, però, le apparizioni televisive riprendono. Accanto alla moglie, che è attrice come lui; e che come lui è dotata di una verve comica che ne fa una partner perfetta. Ed ecco formata la premiata ditta Raimondo & Sandra, che tutti conoscono a amano. Sono loro due le star di Studio Uno, a metà del decennio; e poi, nei primi Settanta, di Sai che ti dico?, Tante scuse, e più avanti (nel '77) Noi...no.
Pochi anni, e il fenomeno delle tv private, riunite in un network nazionale dall'imprenditore-costruttore Silvio Berlusconi, esplode. E dopo Mike Bongiorno, è Vianello uno dei primi divi a trasferirsi in casa del Biscione: lo ricordiamo, ad esempio, come conduttore del programma Il gioco dei Nove. E soprattutto nelle sit-com Casa Vianello e Cascina Vianello, che sulle reti Fininvest poi diventate Mediaset è un appuntamento fisso. Ma le reti berlusconiane utilizzano il suo talento, la sua capacità di sdrammatizzare gli animi più accesi, anche nelle trasmissioni sportive, come Pressing.
La Rai, però, lo richiama quando è già un signore ben oltre la soglia del settant'anni. Nel 1998, infatti, conduce il Festival di Sanremo: elegante come sempre, distaccato quanto basta. Un personaggio inattuale, forse, in una tv che stava cambiando pelle, con l'avvento imminente dei reality e dei talent show. Ma il suo umorismo rimarrà per sempre un classico della comicità made in Italy, senza volgarità e senza esagerazioni.
E al di là della televisione, Vianello va ricordato anche per le sue non frequentissime interpretazioni su grande schermo. Due delle quali accanto a un genio della risata come Totò: una, da semi-esordiente, in Totò Sceicco; un'altra, da star della tv ormai affermata, in Totò Diabolicus (1962). Ed è un peccato che i registi di cinema non abbiano sfruttato di più le sue potenzialità.
I funerali di Raimondo Vianello si svolgeranno sabato alle 11, nella Chiesa di Dio Padre a Segrate (Milano). La camera ardente sarà allestita domani negli studi Mediaset a Cologno Monzese. Dopo le esequie la salma verrà trasferita a Roma, per essere tumulata nella tomba di famiglia al cimitero del Verano.
(fonte: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/04/15/news/morto_vianello-3362343/)
Edmondo Berselli
(immagine tratta da https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMvb38vNodw9rAQcZZz3jQgGdGeRw2FWkpKluBNOK5SBfS1th4DvQAv5rSwb1CrKPLem7sMA8Lx0-2ISjjv9Sik0u4Uzo-ahc3V3OTlnfZBHaL8Tf_I5QTCGZmyF5YVo6Yl67bp0iaRcyD/s200/edmondo_berselli.jpg)
E' morto a Modena, dopo una lunga malattia, Edmondo Berselli. Aveva 59 anni. Scompare una delle figure più eclettiche dell'editoria e del giornalismo italiano. Editorialista di politica per Repubblica e collaboratore de l'Espresso, osservatore attento della società italiana, fustigatore - se necessario - delle sue debolezze e delle contraddizioni della politica con l'occhio dello spirito libero e, senza tentennamenti, laico e repubblicano. E, insieme, narratore - negli articoli e nei libri - delle passioni ( e delle cadute di stile) dell'Italia della musica, dello sport, del mondo culturale e dei suoi salotti. Fino alla gastronomia. Forse un titolo - Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe - sembra metterle insieme tutte mostrando un osservatore poliedrico e senza paraocchi della società italiana.
La stessa vena che ha messo nei suoi libri di analisi della politica - che è riuscito sempre a trasformare in analisi della società - e nei tanti articoli scritti via via per diversi giornali fino all'approdo a Repubblica. Un metodo che nel 2003, con Post-italiani, lo fece considerare come un analista quasi profetico di questa nostra società. Compresa la sua analisi disincantata, e forse per questo ancor più incalzante, del fenomeno Berlusconi nei tanti editoriali per Repubblica. Fino al fondo sul "padrone Berlusconi" del 17 marzo scorso, e alla puntura "La Vacanza" del 3 aprile. Gli ultimi.
Tutte passioni, a partire dalla critica della politica, che Berselli coltiva nel laboratorio bolognese del Mulino dove si incrociano - ma questa è storia della politica italiana - da Andreatta a Scoppola, a Giugni, a Pasquino a Panebianco. Esperienza che diverrà il crogiolo culturale anche dell'impegno diretto in politica di Romano Prodi.
Inizia alla fine degli anni '70 come correttore di bozze della casa editrice, della quale diverrà il direttore editoriale, e lega la sua vita culturale e lavorativa all'editrice e alla rivista bolognese di cui diverrà direttore modificandola profondamente. Intanto collabora alla Gazzetta di Modena, il primo passo del rapporto con numerosi giornali fino al suo arrivo a Repubblica nel 2003. Con il suo stile e le sue analisi - spesso ironiche e divertenti - a tutto campo.
Modi diversi di raccontare l'Italia che costruiscono l'analisi della società e della politica con la sensibilità di un intellettuale che vuole farlo suonando più tasti possibile. Basta mettere in fila solo alcuni dei suoi libri. C'è il best-seller Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica con l'ironico commento della sconfitta del Pd nel 2008. Ma anni prima c'era l'altrettanto noto Canzoni, un ritratto della società italiana dagli anni '50 ad oggi attraverso la musica leggera. E ancora Il più mancino dei tiri, dedicato a Mariolino Corso e attraverso lui al fenomeno calcio. Per arrivare al ritratto dissacrante del mondo culturale italiano con Venerati maestri, operetta morale sugli intelligenti d'Italia.
L'ultima fatica, personalissima e toccante, lo scorso anno con Liù. Biografia morale di un cane. Quasi un addio.
11 aprile 2010
(fonte: http://www.repubblica.it/politica/2010/04/11/news/berselli-3275107/)
mercoledì 24 marzo 2010
Lauretta Masiero
(immagine tratta da http://static.episode39.it/artist/22122.jpg)
Si è spenta Lauretta Masiero, 23 marzo 2010.
Veneziana, aveva 82 anni. Il debutto come soubrette con Chiari e Macario, poi il repertorio drammatico.
MASOLINO D'AMICO
Ho visto per l’ultima volta in teatro Lauretta Masiero poco più di dieci anni fa, incantevolmente accoppiata con Isa Barsizza, l’unica altra leggenda vivente del nostro antico e glorioso teatro di varietà a lei paragonabile. Il testo era un classico della prosa, vale a dire un adattamento del romanzo di Palazzeschi Le sorelle Materassi e la situazione poteva sembrare ancora più classica: due ex soubrettine diventate così vecchie e sagge e rispettabili da farsi perdonare gli ormai lontanissimi esordi nel dopoguerra, quando si dimenavano seminude su palcoscenici affamati di carne giovane e di spensieratezza. Senonché era vero piuttosto il contrario. Con la loro grazia piena di umorismo, con l’aerea naturalezza in cui abitavano il palcoscenico, le due irresistibili signore riuscivano a resuscitare, oserei addirittura dire malgrado i loro personaggi, una preziosissima dose della verve che, attraverso di loro, aveva fatto sognare un’Italia che aveva bisogno di spensieratezza ancora più che di pane.
Entrambe quelle due - anche se d’ora in avanti la dolorosa circostanza della sua scomparsa, ieri a Roma, a 82 anni, m’imporrà di occuparmi della sola Masiero - avevano ancora, infatti, quello che avevano sempre avuto: quella leggerezza innata, quell’allegria congenita, quell’impossibilità di risultare, in qualsiasi situazione, volgari. Sarebbe riduttivo chiamarlo semplicemente talento. Senza talento in teatro si combina poco, ma d’altro canto il talento è solo una disposizione che facilita gli inizi; sul talento si deve lavorare, il talento si affina, il talento si sviluppa e matura. Mentre Lauretta Masiero, come si dice a Roma, era nata imparata. Era anche nata a Venezia, non certo uno svantaggio, né era uno svantaggio l’essersi ritrovata un paio di gambe molto lunghe in un Paese dove questo fenomeno non era, ai suoi tempi, così frequente. Il che non vuol dire che non avesse dovuto anche faticare, e parecchio, prima di conquistare il mestiere e diventare una vera professionista.
Però era nata con quella cosa lì, quella che non si impara, come l’orecchio assoluto. Aveva i tempi comici, infallibili; si proponeva con spontaneità e sempre al momento giusto; quando sorrideva, e sorrideva moltissimo con la sua bocca smisurata, ammiccava ma in modo scherzoso, invitava il pubblico a ridere con lei. Era festosa senza essere esibizionista. Comunicava dal palco il piacere di chi ci si trova come a casa propria ed è felice di accogliervi gli ospiti. Fu per l’appunto questa facilità, questa cordialità allegra che non l’abbandonava mai, a renderle così agevole il passaggio - ho detto passaggio, non promozione! - dalla rivista al teatro cosiddetto serio, cominciando con Goldoni molto presto, già nel ’54 (era nata nel 1927) e continuando poi con tanto di nome in ditta, da animatrice di formazioni prestigiose, la Masiero-Calindri-Zoppelli, la Masiero-Lionello-Pagnani, la Masiero-Volonghi, la Masiero-Foà. Quando festeggiò il mezzo secolo di teatro (con Twist di Clive Exton), tra i grandi della commedia brillante che aveva visitato, da Shaw a Feydeau, da Neil Simon a Félicien Marceau, insomma chi più ne ha più ne metta, non mancava quasi nessuno. Dell’evoluzione aveva fatto parte, ovviamente, anche la commedia musicale di Garinei e Giovannini (Attanasio cavallo vanesio, a fianco di Renato Rascel).
Dappertutto, oggi sembra la componente maggiore del suo fascino e la qualità per la quale la si ricorda più volentieri, Masiero portava il profumo dei suoi vigorosi, vitalissimi inizi in quel genere così italiano e così popolare, prima che la televisione lo uccidesse (non senza peraltro annettersi la sua preziosa presenza): la rivista della Wanda Osiris e poi, soprattutto, di Macario, il poetico clown finto melenso, sempre circondato da donnine. Oggi per recuperare quel profumo, quella malizia innocente, quella trasgressione bonaria e anche quella sensualità tanto più intrigante in quanto esercitata entro limiti sportivamente accettati da tutti, più che rivolgersi alle teche Rai e ai recuperi, sarà il caso di cercare le spiritose apparizioni di Lauretta nei filmetti senza pretese degli Anni Cinquanta, i cui titoli non di rado sono tutto un programma: Il bandolero stanco (1952), Gran varietà (‘54), Totò a Parigi (‘58), Marinai, donne e guai (‘58), Ferragosto in bikini (‘60).
Colpita dall’Alzheimer, Lauretta Masiero si era ritirata dalle scene da circa dieci anni. I funerali saranno celebrati a Roma in forma privata. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio alla famiglia ha espresso la sincera partecipazione al dolore per la scomparsa di una «figura significativa della scena teatrale e televisiva italiana».
(fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacoli/201003articoli/53430girata.asp)
Peter Van Wood
(immagine tratta da http://vandaag.radio6.nl/files/2007/11/petervanwood.jpg)
ROMA, 10 marzo 2010 - Chitarrista e astrologo di successo, Peter Van Wood, è morto oggi a 83 anni al Policlinico Gemelli di Roma. Artista e volto noto della tv, grazie in particolare alla trasmissione «Quelli che il calcio» con Fabio Fazio che gli ha regalato una seconda giovinezza, ha sempre mantenuto vive queste due grandi passioni, senza sacrificare l'una all'altra.
PASSIONE PER LE STELLE - Più che un astrologo si considerava «uno studioso della stupenda scienza delle stelle». Amava i suoi libri di astrologia alla quale si dedicò in pieno dagli anni Sessanta formulando oroscopi per giornali e riviste. Le sue ultime previsioni per il 2010 indicavano, a livello mondiale, il continuare di disastri naturali, e in Italia l'arrivo di un anno, sotto certi punti di vista, sensazionale.
Peter Van Wood e Renato Carosone negli anni Ottanta (Ansa)
LA CHITARRA E CAROSONE - Aveva quattordici anni quando cominciò a suonare la chitarra. Studiava al conservatorio e ascoltava i grandi chitarristi jazz quando fece i primi passi in piccole formazioni in Olanda e all'estero e nel 1946 si esibì al Palladium di Londra. È stato uno dei primi ad usare la chitarra elettrica e gli effetti speciali con l'eco e il riverbero. Con Renato Carosone e Gegè Di Giacomo aveva formato un trio musicale di successo. Nel 1954 si era dato alla carriera di solista con canzoni che segnarono un'epoca come Butta la chiave, diventata celebre anche per il dialogo tra Van Wood e la sua chitarra che si immagina dia le risposte di una ragazza che non vuole farlo entrare in casa: «Gelsomina... Apri il portone... va bene, butta la chiave allora...» è l'incipit della canzone. E poi Via Montenapoleone, Tre numeri al lotto, Carolina e Capriccio.
L'OLANDESE ITALIANO - Olandese, nato all'Aia nel 1927, amava molto l'Italia dove si stabilì nel 1949. A Milano aprì negli anni Sessanta un locale, l'Amsterdam 19, in Galleria Passarella, dove spesso si esibiva come cantante chitarrista. Nel 1982 ha inciso la sigla del programma televisivo La Domenica Sportiva. In tv è tornato alla ribalta nel 1993, come detto, con la partecipazione alla trasmissione Quelli che il calcio, condotta da Fabio Fazio che sulla falsariga del suo cognome creò la squadra calcistica Atletico Van Goof. Nel 2007 ha fatto causa al gruppo inglese Coldplay che avrebbe plagiato in Clocks la sua canzone Caviar and Champagne.
(fonte: http://www.corriere.it/spettacoli/10_marzo_10/morto-peter-van-wood-astrologo-chitarrista_72931abe-2c64-11df-b239-00144f02aabe.shtml)
martedì 9 marzo 2010
Tonino Carino
Marche: morte Tonino Carino, Ascoli piange la scomparsa del giornalista
Profonda impressione ha fatto ad Ascoli e in tutte le Marche la prematura scomparsa a 66 anni di eta', avvenuta nella tarda serata di ieri ad Ancona per un male incurabile, del cronica sportivo e volto noto della Rai e di "90esimo minuto", Tonino Carino.
La societa' "Ascoli calcio", in testa il suo attuale presidente Roberto Benigni, lo ricordano con una nota pubblicata questa mattina sul sito web.
"Il presidente e la societa' tutta piangono la scomparsa dell'insostituibile amico Tonino Carino - si legge nel comunicato - un ascolano vero, che ha portato alla ribalta dei palcoscenici piu' prestigiosi dell'informazione il suo immenso amore per Ascoli e per il colori bianconeri, dimostrando quel senso di appartenenza e quell'ascolanita' che soltanto chi li vive puo' pienamente capire".
Carino, nato ad Offida nel 1944, aveva iniziato la sua carriera collaborando al Resto del Carlino, e poi lavorando per il Corriere Adriatico. Entrato in Rai nel 1976, nella nuova sede regionale di Ancona, il cronista sportivo proprio in quegli anni aveva iniziato a collaborare con "90esimo minuto" ( condotto da Paolo Valenti) non solo raccontando le gesta dell'Ascoli calcio dell'epoca d'oro della serie A e del "presidentissimo" Costantino Rozzi, ma soprattutto diventando un vero personaggio della tv, per i suoi modi simpatici, accattivanti e ironici di presentarsi.
Tanto da avere in seguito l'onore di diventare il protagonista di uno filastrocca del trio Lopez-Marchesini-Solenghi. Divenuto nel 1991 caporedattore della Rai delle Marche, Tonino Carino venne chiamato a partecipare in seguito a numerose trasmissione televisive, da "Drive In" su Mediaset fino a "Quelli che il calcio", sulla Rai. Nel 2002-2003 era stato poi inviato del programma pomeridiano "Casa Raiuno", condotto da Massimo Giletti.
Malato da tempo, nell'ultimo anno e mezzo aveva lottato contro un male incurabile, sottoponendosi a due interventi chirurgici, uno a Milano, e l'altro ad Ascoli, presso l'ospedale Mazzoni. Ma senza grandi risultati. E' morto ieri sera nella sua abitazione di Ancona, dove si era trasferito negli anni Novanta. Lascia un moglie e due figlie. Ma anche, e' il caso di sottolineare, un grande vuoto tra i colleghi marchigiani, per la sua umanita' oltre che professionalita'.
I suoi funerali si terranno domani ad Ascoli Piceno.
09 / 03 / 2010
(fonte: http://www.ecodellemarche.it/marche-morte-tonino-carino-ascoli-piange-la-scomparsa-del-giornalista.htm)
(immagine tratta da http://www.adnkronos.com/IGN/Assets/Imgs/C/carino_tonino_web--400x300.jpg)
Profonda impressione ha fatto ad Ascoli e in tutte le Marche la prematura scomparsa a 66 anni di eta', avvenuta nella tarda serata di ieri ad Ancona per un male incurabile, del cronica sportivo e volto noto della Rai e di "90esimo minuto", Tonino Carino.
La societa' "Ascoli calcio", in testa il suo attuale presidente Roberto Benigni, lo ricordano con una nota pubblicata questa mattina sul sito web.
"Il presidente e la societa' tutta piangono la scomparsa dell'insostituibile amico Tonino Carino - si legge nel comunicato - un ascolano vero, che ha portato alla ribalta dei palcoscenici piu' prestigiosi dell'informazione il suo immenso amore per Ascoli e per il colori bianconeri, dimostrando quel senso di appartenenza e quell'ascolanita' che soltanto chi li vive puo' pienamente capire".
Carino, nato ad Offida nel 1944, aveva iniziato la sua carriera collaborando al Resto del Carlino, e poi lavorando per il Corriere Adriatico. Entrato in Rai nel 1976, nella nuova sede regionale di Ancona, il cronista sportivo proprio in quegli anni aveva iniziato a collaborare con "90esimo minuto" ( condotto da Paolo Valenti) non solo raccontando le gesta dell'Ascoli calcio dell'epoca d'oro della serie A e del "presidentissimo" Costantino Rozzi, ma soprattutto diventando un vero personaggio della tv, per i suoi modi simpatici, accattivanti e ironici di presentarsi.
Tanto da avere in seguito l'onore di diventare il protagonista di uno filastrocca del trio Lopez-Marchesini-Solenghi. Divenuto nel 1991 caporedattore della Rai delle Marche, Tonino Carino venne chiamato a partecipare in seguito a numerose trasmissione televisive, da "Drive In" su Mediaset fino a "Quelli che il calcio", sulla Rai. Nel 2002-2003 era stato poi inviato del programma pomeridiano "Casa Raiuno", condotto da Massimo Giletti.
Malato da tempo, nell'ultimo anno e mezzo aveva lottato contro un male incurabile, sottoponendosi a due interventi chirurgici, uno a Milano, e l'altro ad Ascoli, presso l'ospedale Mazzoni. Ma senza grandi risultati. E' morto ieri sera nella sua abitazione di Ancona, dove si era trasferito negli anni Novanta. Lascia un moglie e due figlie. Ma anche, e' il caso di sottolineare, un grande vuoto tra i colleghi marchigiani, per la sua umanita' oltre che professionalita'.
I suoi funerali si terranno domani ad Ascoli Piceno.
09 / 03 / 2010
(fonte: http://www.ecodellemarche.it/marche-morte-tonino-carino-ascoli-piange-la-scomparsa-del-giornalista.htm)
(immagine tratta da http://www.adnkronos.com/IGN/Assets/Imgs/C/carino_tonino_web--400x300.jpg)
Alberto Ronchey
(immagine tratta da http://quotidianonet.ilsole24ore.com/cultura/2010/03/08/301324/images/368134-ronchey.jpg)
ROMA, 8 MAR - E' morto venerdi' scorso nella sua casa romana Alberto Ronchey, aveva 83 anni. Lo rende noto la figlia a esequie gia' avvenute. Nato a Roma nel '26, Ronchey e' stato inviato e direttore della Stampa, editorialista del Corriere della Sera e di Repubblica. Inoltre e' stato ministro per i Beni Culturali e Ambientali per i governi Amato e Ciampi e presidente del Gruppo editoriale Rizzoli Corriere della Sera. Ha coniato i neologismi 'lottizzare' e fattore K'.
(fonte: www.ansa.it)
lunedì 8 marzo 2010
Perché la festa della donna si festeggia l'8 marzo?
Il primo Woman's day in assoluto fu organizzato negli Usa il 28 febbraio 1909: fu una conferenza, aperta a tutte le donne, in cui si discusse dello sfruttamento subito dalle operaie, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto femminile. L'anno successivo nel corso del Congresso delle socialiste di Copenaghen fu lanciata l'idea di una Giornata Internazionale della Donna vera e propria: essa fu festeggiata per la prima volta il 19 marzo 1911. L'unificazione della data di tale celebrazione in tutti i paesi all'8 marzo fu decisa nel corso di una seduta della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste a Mosca, il 14 giugno 1921: sembra che tale scelta facesse riferimento esclusivamente ai cortei, condotti da donne russe in quel giorno di marzo del 1917, per chiedere la fine della guerra, cortei che avrebbero addirittura dato l'abbrivio alla Rivoluzione di Ottobre. Sicché parrebbe poco più che una leggenda il racconto del sacrificio, datato 8 marzo 1908, delle 129 operaie della Cotton, una fabbrica di camicie di New York, arse vive nello stabilimento in cui lavoravano. Per altri invece l'8 marzo sarebbe una convenzione del calendario per ricordare un avvenimento che ebbe luogo in realtà il 25 marzo: si tratta dei fatti della fabbrica Triangle, sempre a New York, risalenti al 1911. Anche in questo caso un incendio sul posto di lavoro costò la vita a un gran numero di operaie, per la maggior parte immigrate, ma va precisato che le 146 vittime riportate dalle cronache appartenevano a entrambi i sessi.
In Italia la prima Festa della Donna fu celebrata il 12 marzo 1922. La mimosa è un simbolo tutto nostrano di tale ricorrenza, e risale al 1946. Dal 1995 essa è affiancata dalla gerbera gialla, che rappresenta l'impegno femminile antimafia.
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