domenica 25 dicembre 2011

Sergio Buso

PADOVA - Dopo una lunga lotta con la leucemia, e un aggravamento nell'ultimo mese, è morto alla vigilia di Natale Sergio Buso, 61 anni, portiere negli anni '70 e '80 e poi allenatore: negli ultimi anni era stato anche il vice di Roberto Donadoni durante l'esperienza alla guida della Nazionale italiana e del Napoli. Lo si legge nel sito del Bologna Fc 1909, nel quale giocò dal 1972 per tre anni e 61 presenze, conquistando la '74 la Coppa Italia e partecipò alla Coppa delle Coppe e alla Mitropa Cup.

Nato a Padova, Buso aveva cominciato a 18 anni la sua avventura calcistica proprio nella squadra della sua città. Dopo il Bologna, giocò a Cagliari, Novara, Taranto, Teramo, Pisa, Mantova e Lucchese, ultima squadra in carriera, finita nell'87, dove cominciò l'esperienza da tecnico. Nel '95 il ritorno a Bologna da collaboratore di Renzo Ulivieri negli anni e nel '99 guidò la prima squadra fino all'arrivo di Guidolin.

L'ex presidente rossoblù Gazzoni Frascara lo definì "la Treccani del calcio". Buso ha lavorato anche per Taranto, Venezia, Modena, Napoli, Reggina, Fiorentina e Catanzaro. Il ruolo più importante è stato quello in Nazionale come vice di Donadoni dal 2006 al 2008, partecipando anche alla spedizione azzurra agli Europei in Austria e Svizzera. Con l'ex ct ha lavorato anche a Napoli per alcuni mesi del 2009 sempre nelle vesti di vice, fino all'esonero da parte del patron partenopeo Aurelio De Laurentiis. Per Donadoni aveva continuato a lavorare anche durante la scorsa estate nonostante la malattia, ma le sue condizioni si erano aggravate nell'ultimo mese.

(link originale dell'articolo: http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=174465)














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Giorgio Bocca




(link originale dell'immagine: http://biografieonline.it/img/bio/g/Giorgio_Bocca.jpg)


Milano, 25 dic. (LaPresse) - E' morto, nella sua casa di Milano, il giornalista Giorgio Bocca. Nato a Cuneo il 28 agosto 1920 ha raccontato la storia del Paese per oltre 70 anni. "Grande giornalista, grande combattente, grande amico": così la casa editrice Feltrinelli, con cui Bocca aveva un contratto dal 2002, definisce lo scrittore, che si è sempre occupato di attualità politica, analisi socioeconomiche, approfondimento storico e storiografico. Tra le sue opere più importanti 'Storia dell'Italia partigiana' (1966), 'Storia d'Italia nella guerra fascista' (1969), 'Palmiro Togliatti' (1973), 'La Repubblica di Mussolini' (1977), 'L'inferno. Profondo Sud, male oscuro' (1993).

"Bocca ha fatto dell'essere 'antitaliano' una virtù, il metodo per non arrendersi a luoghi comuni. Da lui ho capito che non bisognava mai lasciarsi ferire, né abbassare gli occhi: gli insulti sono spinte ad andare oltre, a entrare più in profondità nei problemi. La mia strada per l'inferno l'ha indicata lui, 'Gomorra' si è nutrito della sua lezione: guardare le cose in faccia, respirarle, sbatterci contro fino a farsele entrare dentro e poi scrivere senza reticenze, smussature, compiacenze". Così Roberto Saviano ricorda sul sito internet de 'L'Espresso' Giorgio Bocca, scomparso questo pomeriggio a 91 anni a Milano. Bocca "mi ha insegnato, a raccontare senza avere scrupoli né sentirmi un traditore" aggiunge Saviano. "Lo hanno accusato di essere razzista, antimeridionale, di odiare il Sud. Sono le stesse cose che hanno detto di me, contro di me, il rinnegato. Ci hanno dato degli avvoltoi che si arricchiscono con il dolore altrui" aggiunge ancora lo scrittore.

"Il dramma di questo Paese è di avere queste contraddizioni che non possono essere guarite dall'intervento del governo, ma sono connaturate alla storia delle popolazioni". Così si concludeva l'ultimo articolo di Giorgio Bocca pubblicato lo scorso 28 novembre nella rubrica 'L'antitaliano' su 'L'Espresso'. L'articolo commentava le alluvioni in Liguria e le relative responsabilità non solo dei politici ma di tutti gli italiani.

(link originale dell'articolo: http://it.notizie.yahoo.com/morto-giorgio-bocca-91-anni-addio-allantitaliano-173828063.html?nc)

domenica 18 dicembre 2011

Vaclav Havel

È morto Vaclav Havel, protagonista assoluto delle Rivoluzioni dell'89
È spirato dopo lunga malattia a 75 anni , primo presidente
della Cecoslovacchia postcomunista


MILANO - Vaclav Havel è morto. Il protagonista della Rivoluzione di Velluto del 1989 e il primo presidente della Cecoslovacchia post-comunista e della Repubblica Ceca, dopo che si separò dalla Slovacchia, è spirato dopo lunga malattia.

DISSIDENTE DI LUNGO CORSO - Fu uno dei protagonisti assoluti delle Rivoluzioni del 1989 che misero fine ai regimi comunisti, alleati all'Unione Sovietica. Dissidente di lungo corso, drammaturgo, fu l'ispiratore primo di Charta 77, movimento che insieme al polacco Solidarnosc fu una delle spine nel fianco di Mosca per diversi anni. Nonviolento per convinzione, nell'autunno del 1989, Havel riuscì ad abbattere la presidenza del filosovietico Husak senza ricorrere alla violenza. Così come in modo assolutamente pacifico, gestì, una volta diventato presidente, la divisione della Repubblica Ceca dalla Slovacchia nel 1993.

(link originale dell'articolo: http://www.corriere.it/esteri/11_dicembre_18/vaclav-havel-morte-repubblica-ceca_47898430-2969-11e1-b27e-96a5b74e19a5.shtml)













(link originale dell'immagine: http://www.stopin-praha.cz/images/articles/havel.jpg)

giovedì 6 ottobre 2011

Steve Jobs

Addio a Steve Jobs, lui ai giovani: siate affamati e folli
Aveva 56 anni, ha cambiato il mondo della tecnologia. Il 24 agosto aveva lasciato il timone della casa di Cupertino a Tim Cook















(link originale dell'immagine: http://www.applerumors.it/wp-content/uploads/2011/01/steve-jobs1.jpg)

New York, 6 ott. (TMNews) - Steve Jobs, fondatore di Apple e guru mondiale della tecnologia, è morto a 56 anni dopo una lunghissima battaglia contro il cancro. Appena ventunenne aveva fondato Apple insieme a Steve Wozniak, cambiando per sempre il modo di pensare i computer e l'informatica."La sua passione ed energia sono state la fonte di innovazioni incalcolabili e che hanno arricchito e migliorato la vita di tutti noi. Il mondo è incredibilmente migliore grazie a Steve Jobs.", si legge in un comunicato della casa di Cupertino. Jobs aveva lasciato il timone di Apple lo scorso 24 agosto lasciando la guida del colosso tecnologico a Tim Cook, suo braccio destro per 13 anni.

Jobs ha gettato le basi della moderna industria dell'high-tech, contendendo la scena agli altri pionieri del settore come Bill Gates e Larry Ellison, i fondatori di Microsoft e Oracle. Proprio Gates è stato tra i primi a commentare: "Al mondo raramente qualcuno ha il profondo impatto che ha avuto Steve, gli effetti del suo lavoro si sentiranno per molte generazioni".

A Jobs fu diagnosticato un tumore al pancreas nel 2004 dal quale guarì. Nel 2009 fu sottoposto a un trapianto di fegato. Poi sulla sua salute ci sono state solo indiscrezioni, soprattutto quando a metà del 2008 ha cominciato a perdere peso a vista d'occhio e quando ha preso un secondo periodo di aspettativa a partire da metà gennaio.

IL SUO MESSAGGIO AI GIOVANI Nel giugno del 2005 Jobs, che non ha mai finito l'università, partecipò alla cerimonia di laurea della Stanford University in California dove ha pronunciato quello che è considerato il suo testamento morale ai giovani e che da anni spopola sul Web. "Stay hungry, stay foolish", restate affamati, restate folli, disse davanti ai giovani lanciando quello che è divenuto un messaggio simbolo per la "generazione-Apple".

"Il vostro tempo - disse - è limitato, allora non buttatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non lasciate che il rumore delle opinioni degli altri affoghi la vostra voce interiore. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno già cosa voi volete davvero diventare. Tutto il resto è secondario". In quell'occasione Jobs raccontò la sua difficile adolescenza: figlio di una ragazza-madre che lo dà in adozione, studente povero al Reed college con il coraggio di scegliere corsi inconsueti. Davanti agli studenti Jobs parlò anche del suo rapporto con la morte: "Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per aiutarmi a fare le grandi scelte della vita".

Poi la Apple, fondata nel 1974 in un garage insieme al suo amico Wozniak e divenuta un colosso da 2 miliardi di dollari e 4 mila dipendenti appena 10 anni dopo da cui fu licenziato alcuni anni dopo. "Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse capitare. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita".


(link originale dell'articolo: http://www.tmnews.it/web/sezioni/top10/20111006_111804.shtml)

lunedì 26 settembre 2011

Sergio Bonelli



(link originale dell'immagine: http://cdn.blogosfere.it/cronacaeattualita/images/sergio-bonelli-dylan-dog.jpg)


Giù la testa. Rullino i tamburi funebri dei Navajos; si scappellino Tex e i suoi pards; gridi il suo dolore Zagor, di liana in liana, di cuore in cuore, a riempire la foresta di Darkwood; si libri il Piper di Mister No verso il paradiso dei galantuomini, sorriso guascone, sigaro in bocca e “Oh when the Saints/ go marching in” in sottofondo jazz: è morto Sergio Bonelli. Un italiano migliore della media. Il migliore che abbia conosciuto.

Scrivo ora l’epicedio del grande editore, l’uomo che s’era mutato da Hemingway del fumetto ad Alcide De Gasperi dell’editoria -modestia, strategia, pessimismo e autorevolezza innaturali- con gli occhi pesti per la perdita di un mentore e di grande amico. Non ci credo ancora. Sergio per me era invulnerabile: la morte, al limite, poteva sfiorarlo alla tempia come le pallottole facevano con Tex. L’intervistai nell’89: era il mio primo pezzo sull’ Arena di Verona; da allora non smettemmo di frequentarci, e di collaborare insieme. Ci si vedeva al ristorante o nel suo ufficio-fortino di via Buonarroti, era presidiato da una biblioteca borgesiana e da inquietanti marine notturne surrealiste mischiate a serigrafie di Klimt e foto di John Ford. Uomo coltissimo, Sergio. Ma mai una volta che non si lamentasse. Ora era l’anca da poco operata, ora il fischio all’orecchio. Ora la crisi del fumetto, morto infilzato dalla tv e da Internet; e, si fosse ritirato lui, come diavolo avrebbero fatto i suoi venti lettori e i suoi disegnatori, cento bocche voraci da sfamare. Anche se poi le bocche erano (sono) 250 per 1300 tavole mensili; e i suoi lettori rappresentano l’esercito in grado di salvare Repubblica dall’emorragia di copie. Sergio era un eroe da romanzo, uscito dalla penna di Stevenson, di Melville, di Conrad, di Zane Gray, maestri di vita e d’avventura.

Gli anni più convulsi li aveva consumati nel cameratismo con Hugo Pratt e nell’amicizia degli indios Yanoama in Amazzonia, o nella conoscenza di Hemingway a Pamplona, giusto per rispolverare l’oleografia che ne avvolgeva le gesta. «L’oleografia ce la mettete voi; io faccio fumetti, mica ho inventato la penicillina o la Coca Cola...», ci rimbrottava sempre. E lo faceva ricevendo grappoli di fan, raccattando disegnatori e scrittori disoccupati dalla strada, concedendosi a decine dei studenti che sui fumetti scrivono noiosissime tesi che nessuno leggerà mai. Nessuno tranne Bonelli. Il quale, se nella scrittura era tutto un ribollìo creativo (dice sul Brasile più un Mister No che tutto il National Geographic), nel suo lavoro di editore era d’una pignoleria gesuitica. Bonelli lavorava venti ore al giorno. Aveva una governante disperata, una famiglia sparsa tra Ibiza e l’Europa dell’est e -come De Bortoli ai tempi del Corriere- una brandina parcheggiata nel suo studio, gli fosse toccato - non si sa mai- di sfogliare bozze di racconti, correggere titoli, riscrivere articoli interi come l’ultimo dei capiredattori. Negli anni 70, all’apice della sua fortuna, era uno degli uomini più ricchi d’Italia, pur viaggiando su una Panda scassata e indossando un impermeabile stile tenete Colombo. Un tempo era un irrequieto. Per scovarlo dovevi rovistare nel Sahara tra i Tuareg, in Perù sulla Chila, sul Kilimangiaro o tra i Cangaceiros brasiliani. E nei tabarìn del dopoguerra, a tirar tardi dietro le gonnelle seguendo l’avanspettacolo dei Totò e tutti gli Shakespeare di Albertazzi.

Da qualche tempo s’era placato: «Invecchio, i miei lettori crescono e mi danno del lei, i capelli imbiancano, non riesco più a farmi le rapide del Rio delle Amazzoni e non reggo più l’addiaccio o le zanzare giganti di Bahia...», diceva sparendo nei week end, per infilarsi in qualche cinema off di Londra o Parigi dalla programmazione rigorosamente in bianco e nero. Le volte che l’ho visto ebbro di felicità si contano su una mano: parlavando dei due nipotini Matteo e Martina avuti dal figlio Davide; o in occasione della laurea honoris causa in Scienza della Comunicazione che La Sapienza di Roma gli affibbiò per il ruolo avuto nella cultura italiana del Novecento. Con i suoi Martin Mystère, Dylan Dog, Julia, Mister No, Magico Vento, Ken Parker, Volto Nascosto, Dampyr, Julia, Bonelli è stato il patròn indiscusso del settore. Del nostro rapporto ricordo due episodi. Il primo nel ’92, piena tempesta giustizialista. Il vecchio Tex venne sfiorato da Tangentopoli. Io -e pochi altri - insorgemmo scrivendo che non si era mica nel selvaggio West ai tempi di quella carogna del giudice Bean, con gli assassini dietro i cactus e i ladri di cavalli sdraiati nei saloon; e che la Procura di Milano, prima d’insaponare la corda per l’impiccato, avrebbe dovuto verificare se dietro i capi d’accusa ci fosse, perlomeno, lo zampino di Mefisto. Ci volle qualche annetto, ma anche da quella storia Bonelli uscì a testa alta.

Il secondo episodio attiene a una leggendaria disputa filosofica. Alla mia trita domanda se Tex fosse di destra o di sinistra (enigma irrisolto che tuttora sconquassa i fans Sergio Cofferati e Massimo Fini...), Bonelli, incastonato nella scrivania smorzò per un attimo il suo juke box Wurlitzer e osservò i suoi quadri griffati Usellini e Alberto Martini. Poi sorrise: «Peste (o sangue del demonio non ricordiamo bene, ndr) anche tu ’sta domanda idiota. Quando Tex dice che i banchieri sono ladri è di sinistra, ma dopo dice che gli indiani devono andare d’accordo con i militari ed è di destra. Tex , al limite sarebbe radicale...». Scoprire che Tex avrebbe votato Pannella ci incupì parecchio. Sergio era un reazionario nella modernità: leggeva cinque giornali al giorno, diffidava dei telefonini, dei social networks, dei politici e degl’intellettuali che negli anni 60 giudicavano i suoi fumetti roba da minus habens, e che dopo cominciarono ad idolatrarlo. Ne ricordiamo la battuta esplosiva, il sorriso da cowboy ipocondriaco e l’abbraccio lieve da pilota che atterra a pelo sul Rio delle Amazzoni. So long, Sergio Bonelli, il migliore di tutti...

di Francesco Specchia

26/09/2011

(link originale dell'articolo: http://www.libero-news.it/news/830800/Addio-Sergio-Bonelli-l-Hemingway-della-fumettistica-italiana.html)

Enzo Mirigliani

Patron di Miss Italia di cui diventa responsabile nel 1959. Era nato il 22 aprile 1917 a Santa Caterina sullo Jonio (Catanzaro)
26 settembre, 19:02

di Giulia Seno

''Quante ne abbiamo fatte insieme io e Mirigliani''. Lo diceva spesso Mike Bongiorno del 'patron' di Miss Italia. Oggi nessuno dei due c'e' piu', Mike morto due anni dopo aver condotto il concorso 2007 - quello della lite in diretta con Loretta Goggi - e, oggi, se n'e' andato anche Enzo Mirigliani. E' morto a 94 anni al policlinico Gemelli di Roma, dopo aver retto per quasi cinquant'anni, dal 1959, il concorso di bellezza, ora gestito, da quasi un decennio, dalla figlia Patrizia. Figlio orgoglioso della Calabria, terzo di sei fratelli e volontario nell'Esercito che non aveva 18 anni (combatte' in Africa e a El Alamein quasi sfioro' il generale Rommel), vi rimase fino al 1952: in caserma a Trento, conobbe li' Rosy Ragno, poi sua moglie. Sono stati sposati per 64 anni. Il 'patron' era fatto cosi', preferiva che fossero gli altri a parlare di lui.

Si 'limitava' a costruire il palcoscenico dove potessero esibirsi: una passerella con tante miss, meglio se in Tv, dove il concorso approdo' nel 1979, prima in un circuito di emittenti locali, poi nel 1981 su Canale 5 e dal 1989 in diretta sull'ammiraglia Rai, seconda solo a Sanremo negli ascolti. Un successo costruito soprattutto con due ingredienti e tanta organizzazione: un concorso dall'immagine pulita e sicura per le miss, quelle 'ragazze della porta accanto' che molti giudicano poco credibili e non solo oggi, ma insieme, per l'appunto, la costruzione della polemica, quella garbata, che fa discutere tutta la famiglia. Come quella sull'abolizione delle misure (90-60-90) su suggerimento di Maurizio Costanzo nel 1990 e, quattro anni dopo, l'apertura alle miss sposate e mamme, poi anche alle straniere con cittadinanza italiana: fece discutere nel 1996 la corona a Denny Mendez, domenicana 'naturalizzata' dalla pelle d'ebano, bellissima tuttora.

Mal digerito dalla sinistra culturale, al concorso tuttavia in tanti non hanno resistito, sia come ospiti o giurati: anche Vittorio De Sica, De Chirico, Carra', Zavattini, Guareschi, Luchino Visconti, Alfonso Gatto, Toto', Alberto Lattuada. Poi, il 'patron' ricevette dal presidente Ciampi l'onorificenza di Commendatore della Repubblica, nel 1999; due anni prima, in Campidoglio, il Premio della simpatia di Palazzeschi e Pertica. Compiendo 85 anni, ormai un po' defilato nel 2002, confessava che l'amore per il suo lavoro ''e la soddisfazione di aver fatto sognare, in tutti questi anni, milioni di ragazze'', non gli facevano sentire l'eta', tanto che alla pensione non voleva neanche pensare. Per i 90 anni parecchi ricordano la sua festa principesca in un magnifico albergo di Roma. Molte le sue iniziative, tra premi e gare come La Sartina d'Italia, che allieto' dal 1964 al 1970 confezionando abiti in teatro, ma Miss Italia resta la sua creatura piu' importante.

Qualcuno lo chiamerebbe 'talent scout': dalle sue passerelle sono emerse anche Sofia Loren, Lucia Bose', Silvana Pampanini, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Eleonora Rossi Drago, Gianna Maria Canale, Giovanna Ralli. Tra le belle di oggi, Miriam Leone e Cristina Chiabotto, arrivate in Tv con la corona in testa. ''E' morto nel mese di Miss Italia'', fa notare frastornata e con la voce rotta dal pianto la figlia Patrizia. La corona 2011 e' stata infatti consegnata a Stefania Bivone, quinta reginetta calabrese, la notte tra il 19 e il 20 settembre scorsi, ma lei, 18 anni, Enzo Mirigliani non l'ha mai conosciuto.

(link originale dell'articolo: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/protagonisti/2011/09/26/visualizza_new.html_698336104.html)



(link originale dell'immagine: http://doc.arezzoweb.it/notizie/20090422_enzo_mirigliani.jpg)

lunedì 12 settembre 2011

Mino Martinazzoli



(link originale dell'immagine: http://www.voceditalia.it/public/foto/58901.jpg)

MILANO - È morto domenica mattina (4 settembre, ndb) a Brescia Fermo Mino Martinazzoli, ex segretario della Dc e più volte ministro. L'ex sindaco di Brescia, nato a Orzinuovi (Brescia) nel 1931, era malato da tempo. A novembre avrebbe compiuto 80 anni.

UNA VITA IN POLITICA - Dopo essere stato più volte ministro e rappresentante della base Dc, martinazzoli è stato alla guida di quello che è rimasto dello scudocrociato dopo la bufera di Tangentopoli - tornato nel frattempo a chiamarsi Partito popolare italiano - e nelle elezioni politiche del 1994 ha tentato la strada del Patto per l'Italia, il polo centrista alternativo alla coalizione di sinistra dei Progressisti e quella di centrodestra rappresentata dalla prima alleanza tra il neonato Forza Italia, l'Msi ancora non trasformatasi in Alleanza Nazionale e la Lega Nord. Le elezioni di quell'anno non andarono bene, il progetto portato avanti con Mario Segni finì schiacciato dalla contrapposizione fra un Berlusconi appena sceso in campo e la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto, e Martinazzoli lasciò l'incarico. Sarebbe tornato poi in primo piano, dopo un'esperienza alla guida del Comune di Brescia in qualità di sindaco, quando nel 2000 è stato scelto come sfidante di Roberto Formigoni nella corsa alla Regione Lombardia. Il risultato è stato però anche in quel caso molto deludente, con il leader ciellino che ha raccolto praticamente il doppio delle sue preferenze (61% contro 32) e ha segnato di fatto la sua definitiva uscita di scena dall'agone politico.

(link originale dell'articolo: http://www.corriere.it/politica/11_settembre_04/morto-martinazzoli-ultimo-segretario-dc_878cdfc4-d6f2-11e0-8117-f5a7da88e267.shtml)

Andy Whitfield

Grande tristezza nel mondo del cinema per la morte di Andy Whitfield, l'attore conosciuto per il ruolo di Spartacus nell'omonima serie tv andata in onda anche in Italia su Sky. Andy, 39 anni, aveva lasciato la serie tv per curare la sua malattia, un linfoma non-Hodkin, ed era stasto sostituito nel ruolo di Spartacus dal collega Liam McIntyre.

'Spartacus - Sangue e sabbia' è stata la serie che ha regalato a Whitfield, attore australiano con alle spalle un passato da ingegnere, la maggiore popolarità: il grande successo della serie ha infatti spinto l'emittente americana Starz ad ordinare subito una seconda stagione dopo la prima. In 'Spartacus', storia del gladiatore trace diventato simbolo della rivolta contro Roma, vengono infatti mescolati storia, azione, romanticismo e intrigo, con una buona dose di scene 'piccanti' che inizialmente avevano fatto gridare allo scandalo.



(link originale dell'immagine: http://static.blogo.it/tvblog/SpartacusAndyWhitfield1788789.jpg)
Prima di 'Spartacus', Andy aveva lavorato in diverse altre serie tv, come 'Le sorelle McLeod', 'All Saint' e 'The strip'. Nel 2007, un film da protagonista: 'Gabriel - la furia degli angeli', per la regia di Shane Abbess, dove interpretava l'arcangelo Gabriele. Una carriera ancora breve ma sul punto di decollare grazie al grande successo riscosso nei panni del gladiatore Spartacus: il destino ha deciso però diversamente per Andy Whitfield, che è scomparso ieri, 11 settembre, lasciando una moglie e due figli.

(link originale dell'articolo: http://it.tv.yahoo.com/blog/article/74128/scomparso-andy-whitfield-linterprete-di-spartacus.html)

domenica 31 luglio 2011

Giuseppe D'Avanzo



(link originale del'immagine: http://www.ilfoglio.it/media/uploads/Giuseppe+D'Avanzo.png)


LUTTO
E' morto Giuseppe D'Avanzo
era un campione di giornalismo

E' scomparso all'improvviso. Era nato nel 1953. Sue le inchieste che hanno segnato la storia del quotidiano. Dal rapimento di Abu Omar al Nigergate fino alle dieci domande poste a Silvio Berlusconi sui suoi legami con la giovane Noemi Letizia. Sua l'idea del sito di inchieste di Repubblica.it

ROMA - E' morto improvvisamente, oggi, Giuseppe D'Avanzo. Colto da un malore durante una gita in bicicletta a Calcata, nel viterbese. Nato a Napoli nel 1953, era una delle firme principali di Repubblica, dove ha lavorato per una vita tranne una interruzione di tre anni al "Corriere della Sera". Le sue inchieste hanno fatto la storia del quotidiano. Dal Nigergate alla vicenda Abu Omar, dal caso delle escort legate a Giampaolo Tarantini 1 fino alle dieci domande poste al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi 2, dalle pagine di Repubblica, per chiedere conto dei suoi rapporti con Noemi Letizia, al caso Ruby 3. Aveva scritto Il mercato della paura. La guerra al terrorismo islamico nel grande inganno italiano e Il Capo dei capi. Vita e carriera criminale di Totò Riina. Unanime il cordoglio delle parti politiche 4 e di chi lo aveva conosciuto. I funerali lunedì 1agosto alle 12 presso l'Aranciera di San Sisto, a Roma.

LO SPECIALE: LE SUE INCHIESTE 5

LE DIECI DOMANDE: LO SPECIALE MULTIMEDIALE 6

Fu proprio dall'inchiesta pubblicata su Repubblica nel 2005 che prese nome la vicenda del cosiddetto Nigergate. Ovvero la vicenda secondo cui l'allora Sismi - il servizio d'intelligence militare italiano - avrebbe consegnato alla Cia falsi documenti che avrebbero dovuto provare l'importazione di uranio dal Niger da parte dell'Iraq di Saddam Hussein. Secondo la ricostruzione dell'inchiesta, il materiale sarebbe stato usato dall'allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush per provare che il dittatore iracheno stava cercando di procurarsi armamenti nucleari, e giustificare così l'avvio della prima guerra del Golfo 7. All'epoca, il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi. Il 31 ottobre del 2005 incontrò il capo della Casa Bianca a Washington, e riferì che Bush aveva negato di aver ricevuto alcuna informazione da Roma. Ma da quella inchiesta - che si rivelò del tutto fondata - scaturì uno scandalo internazionale che fece tremare Washington, con contraccolpi sugli alti vertici della Cia. Fino a vendette incrociate negli alti vertici della politica e dell'Intelligence, ricostruite anche in un film - Fair Game ("Caccia alla spia").

Un'altra vicenda alla quale D'Avanzo dedicò molto del suo impegno e della sua ostinazione è quella del rapimento e trasferimento in Egitto dell'imam di Milano Hassan Mustafa Osama Nasr 8, estremista islamico e fiancheggiatore del terrorismo, sequestrato da agenti della Cia nel capoluogo lombardo il 17 febbraio del 2003. L'operazione fermò di fatto le indagini che la Procura di Milano stava conducendo riguardo ai legami dell'imam con organizzazioni fondamentaliste islamiche. Un episodio che D'Avanzo collegò con insistenza a un'attività clandestina della Cia in Italia ma anche a un'operazione congiunta degli Stati Uniti con gli 007 italiani del Sismi. Il proseguio dell'inchiesta fece emergere la possibilità che la rilevazione satellitare delle utenze di telefonia mobile del commando che sequestrò Abu Omar indicasse che, sul luogo del rapimento, vi fossero anche, appunto, degli agenti italiani. Una strada che portò all'individuazione di una sinergia fra Sismi e esperti informatici della Telecom, creata per depistare le indagini svolte fino a quel momento e tenere sotto controllo alcuni personaggi pubblici italiani.

Più recente l'idea delle "dieci domande" 9. Che D'Avanzo decise di porre a Silvio Berlusconi, dalle pagine di Repubblica, per chiedere conto dei suoi legami con la giovane Noemi Letizia, quando il quotidiano pubblicò la notizia della partecipazione del presidente del Consiglio alla festa per il 18esimo compleanno della ragazza di Casoria, il 26 aprile del 2009. Le dieci domande vennero pubblicate il mese dopo, a maggio, in uno speciale multimediale su Repubblica.it, nel quale D'Avanzo esponeva le numerose incongruenze legate alle spiegazioni che il premier aveva dato riguardo ai suoi rapporti con la ragazza e con la sua famiglia. Incoerenze che, appunto, il giornalista sintetizzò in una serie di interrogativi a lungo ignorati da Berlusconi e ai quali, poi, rispose indirettamente nel corso della presentazione di un libro di Bruno Vespa.

E noi di Repubblica.it non dimentichiamo l'attenzione che Giuseppe dava al sito. E' stata sua l'idea del sito inchieste 10, uno degli ultimi prodotti editoriali di Repubblica.it.

(link originale dell'articolo: http://www.repubblica.it/cronaca/2011/07/30/news/morto_giuseppe_d_avanzo-19815836/)

Andrea Pazzagli



(link originale dell'immagine: http://www2.melitoonline.it/wp-content/uploads/2009/04/pizzagli.jpg)


Serie A - Lutto nel calcio, è morto Pazzagli
dom, 31 lug 14:16:00 2011

L'ex portiere di Milan e Bologna è scomparso questa mattina a soli 51 anni, era in vacanza con la famiglia ed è stato colpito da un infarto che non gli ha lasciato scampo

Andrea Pazzagli se ne è andato a soli 51 anni, probabilmente per un infarto. L’ex portiere di Milan, ma anche Ascoli e Bologna, ha lasciato troppo presto la moglie e i tre figli mentre era in vacanza proprio con loro in Toscana. Una notizia tremenda per gli appassionati di calcio, che avevano imparato ad apprezzare il suo garbo anche nelle vesti di commentatore televisivo e di preparatore delle Nazionali giovanili azzurre.

Mercoledì sarebbe dovuto tornare al lavoro, a Coverciano, per una riunione dello staff della Nazionale Under 20. Ma a quell’appuntamento non potrà essere presente. Tutta colpa di un malore che lo ha colpito questa mattina intorno alle sette. Per lui non c’è stato nulla da fare. Se ne è andato così uno dei giocatori del mitico Milan di Arrigo Sacchi.

Pazzagli arriva in rossonero nell’estate del 1989, dopo un costante crescendo in provincia. Cresciuto nel vivaio della Fiorentina, era andato a farsi le ossa a Imola, Bologna, Udinese, Catania e poi Ascoli. Lì dove era arrivato in Serie A da titolare, il suo trampolino verso la maglia rossonera. Al Milan è rimasto due anni.

Ma fa comunque in tempo a togliersi grandi soddisfazioni. Prima da dodicesimo di Giovanni Galli e poi da titolare nella stagione 1990-91, quando diventa campione del mondo da numero uno, scendendo in campo in Milan-Olimpia Asuncion 3-0 (finale di Coppa Intercontinentale). A 31 anni, passa poi al Bologna, alla Roma e chiude in C1 con il Prato nel 1996.

La sua storia, però, non finisce lì. Entra nello staff del Milan come preparatore dei portieri, poi va alla Fiorentina e dal 2001 è nello staff delle nazionali italiane. Ma non solo. Forse in pochi sanno che Pazzagli era anche un cantautore capace di comporre e pubblicare due album molto apprezzati dalla critica.

“Spero che esistano gli angeli”, questo era il titolo del suo ultimo disco. Noi, invece, siamo sicuri. Adesso abbiamo un angelo in più a guardarci dall’alto.

(link originale dell'articolo: http://it.eurosport.yahoo.com/31072011/45/serie-lutto-nel-calcio-morto-pazzagli.html)

sabato 16 luglio 2011

Che differenza c’è tra stanza e camera?



Si tratta essenzialmente di sinonimi: con entrambi i termini infatti indichiamo i locali abitativi di una casa. Più in particolare, però, con “camera” si intende la stanza da letto.

domenica 10 luglio 2011

Roland Petit









(link originale dell'immagine: http://www.sipario.it/fotovarie/petit.jpg)



E' morto il coreografo Roland Petit

Con lui la danza tornò "contemporanea"

Prima ballerino, poi geniale sviluppatore di passi e movenze, si è spento a Ginevra all'età di 87 anni. Da Parigi a Hollywood con un sogno nella mente: il balletto come medium perfettamente integrato nel nostro tempo

ROMA - Il coreografo e danzatore francese Roland Petit è morto a Ginevra all'età di 87 anni. Era nato a Villemomble il 13 gennaio del 1924. Tra le sue opere più note Le jeune homme et la mort, su libretto di Jean Cocteau, con coreografia e costumi di straordinaria modernità. Nel 1972 fondò il Ballet National de Marseille, che diresse per ventisei anni.
Il giovane Roland Petit si formò alla scuola di danza dell'Opéra di Parigi sotto la direzione di Gustave Ricaux ed entrò a far parte del corpo di ballo dell'Opéra nel 1939. Nei cinque anni successivi prese parte a numerosi spettacoli e conquistò i suoi primi successi come coreografo con Orphée, Rêve d'Amour. A partire dal 1944 decise di concentrarsi sulle proprie opere al Teatro Sarah Bernhardt di Parigi assieme a Irène Lidova e col sostegno di artisti come Christian Bérard e Jean Cocteau.

Nel 1945, aiutato finanziariamente da suo padre, Petit fondò la compagnia dei Ballets des Champs-Elysées, in cui figurò da danzatore principale, maestro di ballo e coreografo. Iniziò così a sperimentare, sviluppando il suo celebre stile acrobatico angolare. Con Les Forains (1945) giunse il maggior successo mai ottenuto da Petit fino a quel momento. L'anno successivo la sua compagnia ripropose anche Le Jeune Homme et la mort, guadagnando notevoli consensi presso la critica, perché dimostrava che la danza poteva essere considerata un medium perfettamente in linea con la contemporaneità.

Ormai una griffe della danza, nel 1948 Petit diede vita al Ballets de Paris de Roland Petit, con cui presentò i sui successivi lavori: tra gli altri, Les Demoiselles de la nuit (1948), L'Oeuf à la coque (1949), Carmen (1949), e La Croqueuse de diamants (1950). Altri importanti ballerini emersero dalla compagnia di Petit. Si ricordano, ad esempio, Renée (Zizi) Jeanmaire, capace di catalizzare l'attenzione con la passione della sua danza in Carmen e che sposò Petit nel 1954.

Roland e Renée lavorarono assieme a Hollywood per molti film musicali, tra i quali si ricordano in particolare Hans Christian Andersen (1952), Daddy Long Legs (1955) e Anything Goes (1956). Nel 1960 uscì nelle sale Black Tights, le cui coreografie incorporavano molti passi di danza inventati da Petit. Grazie al successo del film, per il coreografo francese si aprirono nuove opportunità presso le compagnie di ballo più prestigiose in tutto il mondo.

Nel 1970 Petit fu nominato direttore dell'Opéra di Parigi, esperienza di breve durata. E' del 1972 la nascita del Ballet de Marseille (poi Ballet National de Marseille-Roland Petit), a cui il coreografo si dedicò fino al 1998, quando fu costretto a lasciare, non prima di aver offerto al pubblico e alla danza lavori spumeggianti come Coppélia (1975) e versioni sceniche di note opere letterarie (Nanà da Zola, Les intermittences du coeur da Proust, Les hauts du Hurlevent dalla Brönte, Le fantòme de l'Opéra da Leroux).

Negli anni Ottanta si ricordano ancora fortunati lavori come Le mariage du Ciel et de l'Infer (Milano, 1984), Le chat botté (Parigi, 1985), L'Ange bleu (Berlino, 1985), Ma Pavlova (Parigi, 1985), Le diable amoreux (1989). Infine, nel decennio successivo, La bella addormentata (1990), Pink Floyd Ballet (1991), Charlot dans avec nous (1991), Il Gattopardo (Palermo, 1995), Chéri (Milano, 1996) e Le Lac des cygnes et ses maléfices (Marsiglia, 1998).

(link originale dell'articolo: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/07/10/news/danza_morto_roland_petit-18934388/?rss)

venerdì 24 giugno 2011

Peter Falk










(link originale dell'immagine: http://www.piedpulse.com/wp-content/uploads/2011/02/293.ad_.PeterFalk.Columbo.121608-185x300.jpg)




Morto Peter Falk, il Tenente Colombo


L'attore americano aveva 83 anni
Dopo i successi in tv, le difficoltà
famigliari e il dramma Alzheimer

Se n’è andato uno dei miti cinematografici della giovinezza di molti: l’attore americano Peter Falk, reso celebre dal personaggio televisivo del Tenente Colombo. Negli ultimi anni, soffriva del morbo di Alzheimer e avevano fatto il giro del mondo, qualche anno fa, le foto che lo ritraevano a Los Angeles, non lontano dalla villa di Beverly Hills, disorientato e in stato confusionale, sporco in viso e con abiti sporchi, mentre urlava frasi prive di senso.

La figlia ne aveva richiesto l’affidamento, ma la notizia che fosse ridotto a vivere come un barbone aveva inevitabilmente suscitato dolore nei milioni di persone che, negli anni 70, avevano seguito con passione le gesta delll’infallibile detective che, con il suo aspetto trasandato e apparentemente distratto, riusciva sempre a incastrare il colpevole. Nel 1968 il primo episodio (ma in Italia era approdato oltre dieci anni dopo, nel 1979) a cui erano seguiti altri 69 appuntamenti, un must per gli appassionati del genere, con un successo costante (repliche comprese).

Nato a New York il 16 settembre 1927, padre polacco con discendenze ungheresi e madre ebrea russa, con un diploma di ragioniere in tasca si era presentato ad Harry Cohn, numero uno della Columbia Pictures: un buco nell’acqua, perchè quello gli aveva risposto: «Per gli stessi soldi posso prendere un attore con due occhi». E invece le storie del detective di origine italiana, con lo sgualcito impermeabile chiaro e l’occhio strabico (dovuto alla protesi oculare che portava da quando, ad appena tre anni, gli era stato asportato l’occhio destro per un tumore) affascinarono il mondo. Il refrain con cui risolveva i casi più intricati era sempre lo stesso («Un’ultima cosa..») e anche il ’modellò degli episodi (che partivano al contrario, con il racconto dell’omicidio e le immagini dell’assassino) e le battute sulla moglie, continuamente nominata ma che non appariva mai.

Falk vinse 4 Emmy e un Golden Globe per «Il tenente Colombo» e ottenne due nomination all’Oscar come ’attore non protagonistà nel 1961 e nel 1962, rispettivamente per «Angeli con la pistola» e «Sindacato assassini». Indimenticabile l’intepretazione in «Il cielo sopra Berlino» di Wim Wenders del 1987, in cui l’attore interpretò se stesso. Il suo regista preferito, l’indipendente John Cassavetes, lo diresse diverse volte, come nel memorabile «Una strana coppia di suoceri».

(link originale dell'articolo:
http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/408684/)

domenica 19 giugno 2011

Clarence Clemons



(link originale dell'immagine: http://www.ilsussidiario.net/img/ANSA3/clemonso_R400.jpg)



CLARENCE CLEMONS/ Video, è morto il sassofonista di Bruce Springsteen e della E Street Band

MORTE - "Big Man", come lo chiamava il suo amico fraterno, Clarence Clemons, è morto. Figura iconica della storia del rock, il sassofonista di colore non a caso era l'unico musicista della E Street Band a comparire insieme a Springsteen sulla copertina del suo disco più famoso e significativo, "Born to Run", pubblicato nel 1975. Un abbraccio quello che mostrava quella foto, con più significati: il bianco e il nero, le due radici della musica rock; l'amicizia interazziale; la chitarra (rock) e il sassofono (jazz). Tutti mondi che Bruce Springsteen aveva saputo unire grazie alla sua visione a 360 gradi della musica. E in tutto questo The Big Man giocava un ruolo altamente significativo. Clarence Clemons, 69 anni, il più anziano della band, era stato colpito da un ictus sabato scorso. Le sue condizioni sembravano in lento miglioramento, invece non ce l'ha fatta, complici anche le già non buone condizioni di salute del musicista che aveva subito diverse operazioni in tempi recenti. E' il secondo musicista della E Street Band a morire: pochi anni fa era infatti scomparso il tastierista Danny Federici, stroncato da un tumore. Con la scomparsa però di Clarence Clemons se ne va il simbolo stesso di questo gruppo di musicisti, difficilmente Springsteen potrà sostituirlo come fece con Federici ed è auspicabile che questo grande gruppo che ha segnato più di trent'anni di sogni e utopie rock adesso concluda il suo percorso. Springsteen e Clemons si conoscevano ben prima che la E Street Band prendesse forma, dai primissimi anni 70, entrambi provenienti da quel New Jersey di provincia su cui nessuno avrebbe scommesso sarebbe arrivata una rivoluzione rock di tale portata. Nel corso degli anni, sul palcoscenico, i due avrebbero dato vita a formidabili siparietti non solo musicali, ma anche umani, con mille storie raccontate da Bruce a proposito di improbabili avventure on the road con protagonista The Big Man, come lui lo chiamava. Spesso questi momenti si chiudevano con un bacio fra i due, segno di una amicizia virile che sapeva trascendere le generalizzazioni sessuali per sconfinare in qualcosa di più grande. Musicalmente, Clarence Clemons aveva portato la forza del blues sporco e graffiante, soffiato con abbia nel suo sassofono: indimenticabile la sua parte nel brano Jungleland. Di lui ha detto dopo a scomparsa Sèringsteen: "Era il mio grande amico, il mio partner. Con Clarence al mio fianco, la mia band e io siamo stati capaci di raccontare una storia più profonda di quella contenuta nella nostra musica. La sua vita, la sua memoria e il suo amore vivranno per sempre in quella storia e nella nostra band". Ma indimenticabile resterà per sempre l'immagine ricavata dal film "No Nukes" del 1979, quando Springsteen, al termine del suo brano probabilmente più significativo, Thunder Road, si getta in ginocchio davanti a Clarence Clemons dopo che i due si sono "sfidati" da una parte all'altra del palco a colpi di chitarra e di sassofono: una immagine iconica che segna per sempre il sogno impossibile di una musica rock che ha finito davvero di essere giovani e che adesso non è più nata per correre.

(link originale dell'articolo: http://www.ilsussidiario.net/News/Musica-e-concerti/2011/6/19/CLARENCE-CLEMONS-Video-e-morto-il-sassofonista-di-Bruce-Springsteen-e-della-E-Street-Band/187692/)

Tutti i direttori de "l'Unità" dalla fondazione ad oggi





Ottavio Pastore (1924)
Alfonso Leonetti (1924-1925)
Mario Malatesta (1925)
Riccardo Ravagnan (1925-1926)
Girolamo Li Causi (1926)
Eugenio Curiel (1943-1944)
Celeste Negarville (1944-1945)
Velio Spano (1945-1946)
Mario Montagnana (1946-1947)
Pietro Ingrao (1947-1957)
Alfredo Reichlin (1957-1962)
Mario Alicata (1962-1966)
Maurizio Ferrara (1966-1970)
Giancarlo Pajetta (1970)
Aldo Tortorella (1970-1975)
Luca Pavolini (1975-1977)
Alfredo Reichlin (1977-1980)
Claudio Petruccioli (1980-1982)
Emanuele Macaluso (1982-1986)
Gerardo Chiaromonte (1986-1988)
Massimo D'Alema (1988-1990)
Renzo Foa (1990-1992)
Walter Veltroni (1992-1996)
Giuseppe Caldarola (1996-1998)
Mino Fuccillo (1998)
Paolo Gambescia (1998-1999)
Giuseppe Caldarola (1999-2000)
Furio Colombo (2001-2005)
Antonio Padellaro (2005-2008)
Concita De Gregorio (2008-2011)
Claudio Sardo (2011-in carica)

sabato 11 giugno 2011

Giorgio Celli









(link originale dell'immagine: http://www.provediemozioni.it/public/wp-content/uploads/2009/04/celli.jpg)


Addio all'entomologo Giorgio Celli
Portò in tv il suo amore per gli animali L'entomologo, etologo e divulgatore scientifico Giorgio Celli in un'immagine del 1997

Una vita per gli animali. Verrà ricordato così Giorgio Celli, morto oggi in ospedale a Bologna a 76 anni, senza essersi mai del tutto ripreso da un intervento chirurgico di un mese fa.

Fosse nella casa di via Mascarella mentre accarezzava i suoi gatti, oppure in Tv dove portò la sua scienza, o in cattedra mentre descriveva usi e costumi di bestie anche più grandi dell'essere umano, ma spesso meno feroci. Pensieri come questo, simpaticamente provocatori, lo avevano portato anche a scendere nell'agone politico per i Verdi, consigliere comunale a Bologna ed europarlamentare dal 1999 al 2004. Ma Giorgio Celli è stato molte cose: docente all'Istituto di Entomologia - l'Università di Bologna gli dedica martedì una commemorazione funebre all'Archiginnasio - conduttore televisivo per la Rai (Nel Regno degli animali), scrittore, amante del teatro e della poesia: oltre all'innumerevole saggistica di settore, sono quasi una trentina le sue pubblicazioni tra narrativa, prosa e versi. Decine i titoli dedicati ai gatti: 'Maestri senza parole' amava chiamarli dopo averli studiati a lungo. Nella sua profonda curiosità di vita, aveva anche recitato in un film di Pupi Avati del 1975 (La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone), ma con il regista aveva soprattutto collaborato a molte sceneggiature.

Sarà tumulato a Monzuno, sull'Appennino Bolognese, luogo caro al figlio Davide, anche lui ex consigliere comunale verde, che un mese fa aveva annunciato la gravità delle condizioni del padre e oggi ne ha confermato la scomparsa. Fra gli ultimi suoi impegni, nel marzo scorso Celli aveva presentato l'allestimento per un nuovo spazio del Musei Regionale di scienze naturali di Torino dedicato alla storia della vita sulla Terra che verrà inaugurato nel marzo 2012.

Sabato 11 giugno 2011 19.30

(link originale dell'articolo: http://www.unionesarda.it/Articoli/Articolo/225825)

venerdì 29 aprile 2011

John Kenneth Galbraith




Il 30 aprile 2006 si spegne John Kenneth Galbraith, economista americano. Fu consigliere dei presidente Roosevelt e Clinton, e ambasciatore in India sotto Kennedy.

domenica 10 aprile 2011

Sidney Lumet

Lutto nel mondo del cinema

Addio a Sidney Lumet, regista di Serpico

Aveva 86 anni. Autore di classici del cinema americano


È morto Sidney Lumet. Il regista di Serpico e di Quel pomeriggio di un giorno da cani aveva 86 anni. È deceduto venerdì mattina nella sua abitazione di Manhattan, come ha confermato al New York Times la figlia del regista, Leslie Gimbel. Da tempo il regista aveva un linfoma.

I FILM - Considerato il regista dei classici moderni del cinema americano, riteneva New York non solo la sua Hollywood, ma uno dei personaggi costanti dei suoi film. Tra i suoi capolavori La parola ai giurati, La collina del disonore, Assassinio sull'Orient Express, Il verdetto, Network e Quinto Potere, che portò l'Oscar nel 1976a Peter Finch e Faye Dunaway.

LA BIOGRAFIA - Figlio dell'attore Baruch Lumet e della ballerina Eugenia Wermus, aveva cominciato la sua carriera a Broadway, per poi ricoprire per alcuni anni l'incarico di direttore televisivo. Nel 1957 il suo primo film, La parola ai giurati (protagonista Henry Fonda). La pellicola fu subito un successo, ottenne una nomination agli Oscar e vinse l'Orso d'Oro al Festival di Berlino. Per il pubblico italiano restano indimenticabili film come Quel tipo di donna, del 1959, protagonista Sofia Loren, o Pelle di serpente, del 1960, con Anna Magnani a fianco di Marlon Brando. Ma sono soprattutto alcuni capolavori degli anni Settanta a «firmare» in modo definitivo il cinema di Sidney Lumet. Due su tutti: Serpico, del 1973, e Quel pomeriggio di un giorno da cani, del 1975, film che hanno consacrato Al Pacino tra i grandi di Hollywood. Del 1976 l'opera più celebrata dalla critica: Quinto potere, una critica esplicita del sistema televisivo e degli effetti che quel tipo di comunicazione può avere sul pubblico. Lumet non arrivò mai all'Oscar, fino al 2005, quando l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences gli riconobbe una statuetta alla carriera.

(link originale dell'articolo: http://cinema-tv.corriere.it/cinema/11_aprile_09/cinema-morto-sydney-lumet_9f51406e-62bc-11e0-9ac7-6bfe8e040bf1.shtml)



(link originale dell'immagine: http://www.films42.com/tribute/sidney_lumet.jpg)

domenica 27 marzo 2011

Riassunto del pensiero di Evola




Alla base del sistema di pensiero di Evola c'è l'idealismo magico o assoluto, che pone al centro la forza dinamica dell'Io reale di dominare il non-Io, e, sulla base della coscienza della propria superiorità fattiva, la sua vocazione a trasformarsi in individuo Assoluto.

Riassunto del pensiero di Keynes





Solo un aumento degli investimenti di capitali privati può far aumentare conseguentemente reddito e occupazione. Qualsiasi investimento è calcolato sulla base del rapporto tra ciò che esso costa (tasso d'interesse) e ciò che esso rende (efficienza marginale del capitale). In un periodo di crisi, il fisiologico calo degli investimenti può essere compensato dallo Stato con la spesa in opere pubbliche.

sabato 12 marzo 2011

Nilla Pizzi

Morta Nilla Pizzi, regina di Sanremo



(link originale dell'immagine: http://www.gentemergente.it/wp-content/uploads/2011/03/nilla-pizzi-muore-a-91-anni-a-milano-450x360.jpg)

Nilla Pizzi aveva 91 anni. Nel 1951 trionfò a Sanremo
Fu la prima vincitrice del Festival
nel 1951: cantò "Grazie dei fiori"

È morta stamattina a Milano Nilla Pizzi. La cantante, prima vincitrice del festival di Sanremo (allora in versione radiofonica) nel 1951 con "Grazie dei fiori", avrebbe compiuto 92 anni il 16 aprile. Era ricoverata in una clinica dopo un intervento subito tre settimane fa. Lo ha annunciato il suo agente Lele Mora.

L’anno scorso Nilla Pizzi era stata sul palco dell’Ariston, ospite dell’edizione dei 60 anni del festival. «Mio Dio, che paura ritornare a Sanremo», aveva detto alla vigilia della performance con indosso un abito bianco concepito come un omaggio a due sue canzoni, "Grazie dei fiori" e "Vola colomba".

La Pizzi inizia la sua carriera a 18 anni, quando vince nel 1937 il concorso "5000 lire per un sorriso", una sorta di Miss Italia dell’epoca. Nel ’42 vince un concorso indetto dall’Eiar (prima denominazione della Rai) ed inizia ad esibirsi con l’orchestra Zeme. Durante il fascismo viene allontanata dalla radio: la sua voce è considerata troppo sensuale. Torna nel 1946 con l’orchestra del maestro Angelini, cui è legata sentimentalmente. Nata a Sant’Agata Bolognese il 16 aprile 1919, nel 1951 vince il primo Festival di Sanremo con Grazie dei fior, piazzandosi anche seconda con La luna si veste d’argento, cantata con Achille Togliani.

L’anno successivo trionfa nuovamente al Festival con Vola colomba, Papaveri e papere e Una donna prega. Film, trasmissioni radiofoniche, canzoni di successo e chiacchierate love-story (il cantante Gino Latilla tenterà anche il suicidio per lei), ne fanno la regina della canzone italiana. Nel 1959 vince Canzonissima (con L’edera), il Festival di Barcellona (in coppia con Claudio Villa con Binario) e si piazza terza al Festival di Napoli con Vieneme ’nzuonno assieme a Sergio Bruni. Nel 2003 le è stato assegnato il Premio alla Carriera.

(link originale dell'articolo: http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/393116/)

giovedì 17 febbraio 2011

Dorian Gray

Dorian Gray: si suicida la ''Malafemmina'' di Totò

L'attrice Maria Luisa Mangini si è tolta la vita a Torcegno, nel Trentino.

Tragica uscita di scena per l’attrice Dorian Gray, al secolo Maria Luisa Mangini. L’artista bolzanina, resa celebre dal film “Totò, Peppino...e la malafemmina” in cui recitò al fianco del principe della risata, si è infatti tolta la vita a 75 anni.
Il fatto è avvenuto a Torcegno, in provincia di Trento, dove l’attrice risiedeva ormai da tempo. Sembra che la donna si sia suicidata con un colpo di pistola.



(link originale dell'immagine: http://www.tg1.rai.it/dl/images/165x01297863671823dorian_gray_foto_ansa.jpg)

La biografia
L’attrice, nata a Bolzano nel ’36, aveva esordito giovanissima nella rivista “Votate per Venere” accanto a Macario e Gino Bramieri.
Il successo riscosso la portò, negli anni seguenti, a calcare le scene con personalità del calibro di Wanda Osiris, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello.
Poi l’approdo al cinema, con ruoli da protagonista in pellicole brillanti come il “cult” del 1956 “Totò Peppino...e la malafemmina”, diretto da Camillo Mastrocinque. La Gray qui interpretava l’attricetta destinataria della celebre lettera scritta da Totò e Peppino.
In seguito prese parte a film importanti come “Notti di Cabiria” di Federico Fellini, “Il Grido” di Michelangelo Antonioni e “Mogli Pericolose” di Luigi Comencini.
A metà degli anni ’60, il ritiro dalle scene ed il ritorno in Trentino.

(link oriinale dell'articolo: http://www.ilsalvagente.it/Sezione.jsp?titolo=Dorian+Gray%3A+si+suicida+la+''Malafemmina''+di+Tot%F2&idSezione=9817)

giovedì 27 gennaio 2011

Mario Scaccia

E‘ morto ieri, 26 gennaio 2011, l’attore e regista Mario Scaccia, dopo aver compiuto lo scorso 26 dicembre 91 anni.
E’ deceduto in ospedale al Policlinico Gemelli di Roma dopo una lunga degenza causata da una serie di complicazioni sorte dopo un piccolo intervento subìto poco prima di Natale.
I funerali si svolgeranno sempre a Roma, nella Chiesa Cristo Re di Piazza Mazzini, a pochi passi dalla sua casa. La camera ardente, invece, è stata allestita nell’Hospice Villa Speranza dell’Università Cattolica di Roma.

Ai suoi ammiratori Scaccia lascia il ricordo di un mondo di interpretazioni ed uno stile di recitazione personalissimo e sapientemente coltivato.

«Io più che attore – scrisse in uno dei suoi libri autobiografici – mi considero poeta: scrivo sulla scena con il corpo e la voce l’ineffabile che mi abita nell’anima, prestandolo ai personaggi che da tanti anni vado proponendo».

Ed infatti nell’ultimo suo libro che si intitola “Per amore di una rima“, edito da Persiani Editore, Scaccia svela per la prima volta oltre che il suo lato di attore ed interprete anche quello di autore sensibile e poeta.

L’ultima apparizione di Scaccia sulle scene era stata al Teatro Arcobaleno di Roma, prima di Natale 2010, per “Interpretando la mia vita“, uno spettacolo in cui aveva raccontato il suo percorso artistico.

(link originale dell'articolo: http://www.mondocinemablog.com/2011/01/27/e-morto-lattore-mario-scaccia/)



(link originale dell'immagine: http://www.bologna.me/sites/bologna.me/files/news/foto/mario-scaccia_gra_210710.jpg)

Maria Mercader



(link originale del'immagine: http://www.liguori.it/foto/gallery/4087/image/03.jpg)



Aveva 93 anni Maria Mercader, attrice spagnola e seconda moglie di Vittorio De Sica, spentasi ieri a Roma. Madre dell'attore Christian De Sica, la vita della Mercader nel mondo dello spettacolo ebbe inizio nel suo paese natale.

Sorella di Ramòn Mercader, l'assassino di Trotsky, Maria mosse i primi passi nel cinema con il film 'Molinos de viento' nel 1939, diretta dal regista Rosario Pi. Pochi anni dopo, nel '42, si trasferì in Italia e sul set di 'Un garibaldino in convento' conobbe il cineasta Vittorio De Sica. Tra i due fu amore a prima vista.

Ma ci vollero ben 17 anni prima che il regista neorealista - che condusse una doppia vita per lungo tempo - riuscisse ad ottenere il divorzio dalla prima moglie Giuditta Rissone. La coppia si sposò nel '59 in Messico e una seconda volta a Parigi nel '68. Oltre al re del cinepanettone Christian, la Mercader e De Sica ebbero anche un secondo figlio, Manuel, ad oggi compositore. Anni dopo Maria scrisse una biografia dal titolo 'La mia vita con Vittorio De Sica'.

La carriera dell'attrice proseguì negli anni '40 con 'Musica Proibita' e 'Il treno crociato' di Carlo Campogalliani. Poi collaborò con Blasetti tingendosi i capelli scuri in 'Nessuno torna indietro' (1943) di Alessandro Blasetti, poi nel '48 interpreta la maestrina dalla penna rossa in 'Cuore' di Duilio Coletti, tratta dal romanzo di Edmondo De Amicis. Negli ultimi anni ricordiamo la Mercades in camei nei film 'La casa del sorriso' di Marco Ferreri e 'Al lupo al lupo' di Carlo Verdone.

(link originale dell'articolo: http://cinema.excite.it/e-morta-maria-mercader-moglie-di-vittorio-N63374.html)

martedì 18 gennaio 2011

lunedì 3 gennaio 2011

Pete Postlethwaite





(link originale dell'immagine: http://images.icnetwork.co.uk/upl/icchester/jun2003/9/1/000986C2-5E87-1EDC-81F180BFB6FA0000.jpg)


Pete Postlethwaite, l'attore britannico candidato all’Oscar per il ruolo di Giuseppe Conlon nel film Nel nome del padre, è morto all'età di 64 anni in un ospedale dello Shropshire. Era malato da tempo.

Ex insegnante di teatro, scuola shakesperiana, Postlethwaite aveva debuttato al cinema nel '77, ne I duellanti di Ridley Scott ed era stato definito da Steven Spielberg - che lo diresse in Jurassic Park e Amistad - "l'attore migliore del mondo".

Tra gli altri film di Postlethwaite, l'Amleto di Zeffirelli, L'ultimo dei Mohicani, Romeo + Giulietta, Grazie signora Thatcher e Inception. La sua ultima apparizione in the Town di Ben Affleck. Nel 2004 era stato insignito dell'Order of the British Empire, l'Ordine dei Cavalieri istituito nel '17 da Re Giorgio V.

(link originale dell'articolo: http://it.movies.yahoo.com/03012011/7/morto-postlethwaite-0.html)