mercoledì 28 aprile 2010

Furio Scarpelli




ROMA (28 aprile) - È morto lo scrittore Furio Scarpelli. Lo ha annunciato il nipote, Filiberto Scarpelli. Vignettista e sceneggiatore insuperabile, considerato un padre della commedia all'italiana, Scarpellli si è spento poco dopo la mezzanotte, aveva da poco compiuto i 90 anni.

Con Age ha firmato capolavori come I soliti ignoti, la Grande Guerra e I Mostri. Figlio di Filiberto Scarpelli, fondatore del giornale umoristico romano Il travaso delle idee, ha lavorato per anni con Age (Agenore Incrocci), con il quale formava la storica coppia Age &Scarpelli. Insieme hanno firmato capolavori come I soliti ignoti e la Grande Guerra di Mario Monicelli, I Mostri di Dino Risi, C'eravamo tanto amati e La terrazza di Ettore Scola. Del duo Age & Scarpelli anche la sceneggiatura de Il Buono il brutto e il cattivo di Sergio Leone. Cessato il sodalizio con Age a metà degli anni Ottanta, Scarpelli ha collaborato a lungo con Scola ma anche con giovani autori e registi, tra cui Francesca Archibugi e Paolo Virzì.

Virzì: maestro di antiretorica. «Mi sento devastato, perduto come un bimbo. È stato un maestro di antiretorica, la sua opera è stata la medicina che ci ha guarito dal fascismo», così Paolo Virzì, che di Furio Scarpelli è stato allievo, commenta la morte del maestro. «Forse non è chiaro a tutti chi fosse Furio - dice Virzì - i giornali scriveranno: un maestro di sceneggiatura, il principale artefice della migliore Commedia all'Italiana, l'autore delle storie dei film popolari più belli, più intensi, più divertenti e intelligenti che abbiamo mai avuto in Italia». Ma Furio, aggiunge, «era soprattutto una persona meravigliosa. Un maestro, sì, ma di antiretorica e di umanità. I suoi occhi curiosi, sempre spiritosi e compassionevoli, guardavano le persone e le penetravano, canzonandole e coccolandole col suo affetto e la sua ironica dolcezza da romanziere immenso. Era un genio, dal talento insuperabile di dialoghista, disegnatore, e però era anche una persona generosa ed umile, e ha sempre preferito sottrarsi all'esibizione di sè, dedicandosi piuttosto al trasmettere il proprio insegnamento alle persone, specie più giovani, che ha avuto vicino, come un autentico maieuta. E in tantissimi lo abbiamo adorato. Chi lo ha conosciuto e amato si è abbeverato al suo spirito e al suo sguardo sul mondo e sulla vita».

Veltroni: fine intellettuale che ha onorato il Paese. «Furio era una persona colta e ironica, con una grande passione civile ed una innata signorilità». Lo dice Walter Veltroni, parlando della scomparsa di Furio Scarpelli. «Ha inventato storie meravigliose e reso giustizia al valore assoluto della fantasia. Era un fine intellettuale con un profondo senso del valore di un linguaggio popolare. Ha fatto grande il cinema italiano. Ha onorato il Paese che amava e che lo faceva soffrire. Mi dispiace molto, davvero molto», aggiunge Veltroni.

domenica 18 aprile 2010

Raimondo Vianello



(immagine tratta da http://www.haisentito.it/img/raimondo-vianello-mortow.jpg)

15 aprile 2010.
ADDIO a un gran signore del piccolo schermo, un volto celebre che ha fatto davvero la storia della tv italiana, fin dalla sua nascita: Raimondo Vianello è morto - intorno alle 7 - all'ospedale San Raffaele di Milano, dove era stato ricoverato qualche giorno fa. Accanto a lui, anche se gravemente ammalata, Sandra Mondaini: la prima a piangere una scomparsa che lascia un vuoto enorme, nel mondo dello spettacolo. Dalle mitiche gag con Ugo Tognazzi, ai decenni di esibizione in coppia con la moglie, lo humour leggero dell'attore e conduttore, la sua levità, hanno fondato e poi arricchito il varietà televisivo.

Nato a Roma il 7 maggio del 1922, figlio di ammiraglio, cresciuto a Spalato, aderisce alla Repubblica di Salò, e per questo viene rinchiuso nel campo di prigionia di Coltano (dove c'erano, tra gli altri, anche Walter Chiari ed Enrico Maria Salerno). Finita la guerra, non sembra appassionarsi molto alle possibilità legate alla sua laurea in giurisprudenza. E coltiva già un umorismo di tipo britannico, sottile e sornione. L'inizio della carriera nello showbiz è però abbastanza casuale: alto, biondo, allampanato, viene scelto per interpretare un soldato nella rivista Cantachiaro di Garinei e Giovannini. Un debutto in sordina, il suo, ma all'insegna di un marchio di grande qualità nell'ambito dell'intrattenimento, la premiata ditta G&G. E' il 1950, lui ha 28 anni.

Da allora, praticamente, non si ferma più. Perché, subito dopo la sua prima volta sul palcoscenico, comincia a lavorare con partner blasonati: Carlo Dapporto, Macario, Gino Bramieri. E soprattutto Ugo Tognazzi, con cui comincia a fare coppia fissa, artisticamente parlando. E' il primo dei due incontri decisivi, nella sua carriera. Ma il secondo, avvenuto nel 1959, è cruciale anche per la sua vita privata: conosce infatti Sandra Mondaini, la sposa, e comincia un sodalizio sentimentale e professionale che durerà una vita.

Ma torniamo a quegli effervescenti anni Cinquanta. Nel 1954 Vianello è il mattatore, insieme a Tognazzi, del divertentissimo show Un, due, tre. I loro sketch, spesso irriverenti nei confronti dei potenti, fanno discutere, oltre che ridere. E quando, nel '59, arriva sul piccolo schermo la parodia del presidente Gronchi che scivola a una serata col collega francese De Gaulle, la censura non perde tempo, e il programma viene sospeso.

Negli anni Sessanta, però, le apparizioni televisive riprendono. Accanto alla moglie, che è attrice come lui; e che come lui è dotata di una verve comica che ne fa una partner perfetta. Ed ecco formata la premiata ditta Raimondo & Sandra, che tutti conoscono a amano. Sono loro due le star di Studio Uno, a metà del decennio; e poi, nei primi Settanta, di Sai che ti dico?, Tante scuse, e più avanti (nel '77) Noi...no.

Pochi anni, e il fenomeno delle tv private, riunite in un network nazionale dall'imprenditore-costruttore Silvio Berlusconi, esplode. E dopo Mike Bongiorno, è Vianello uno dei primi divi a trasferirsi in casa del Biscione: lo ricordiamo, ad esempio, come conduttore del programma Il gioco dei Nove. E soprattutto nelle sit-com Casa Vianello e Cascina Vianello, che sulle reti Fininvest poi diventate Mediaset è un appuntamento fisso. Ma le reti berlusconiane utilizzano il suo talento, la sua capacità di sdrammatizzare gli animi più accesi, anche nelle trasmissioni sportive, come Pressing.

La Rai, però, lo richiama quando è già un signore ben oltre la soglia del settant'anni. Nel 1998, infatti, conduce il Festival di Sanremo: elegante come sempre, distaccato quanto basta. Un personaggio inattuale, forse, in una tv che stava cambiando pelle, con l'avvento imminente dei reality e dei talent show. Ma il suo umorismo rimarrà per sempre un classico della comicità made in Italy, senza volgarità e senza esagerazioni.

E al di là della televisione, Vianello va ricordato anche per le sue non frequentissime interpretazioni su grande schermo. Due delle quali accanto a un genio della risata come Totò: una, da semi-esordiente, in Totò Sceicco; un'altra, da star della tv ormai affermata, in Totò Diabolicus (1962). Ed è un peccato che i registi di cinema non abbiano sfruttato di più le sue potenzialità.

I funerali di Raimondo Vianello si svolgeranno sabato alle 11, nella Chiesa di Dio Padre a Segrate (Milano). La camera ardente sarà allestita domani negli studi Mediaset a Cologno Monzese. Dopo le esequie la salma verrà trasferita a Roma, per essere tumulata nella tomba di famiglia al cimitero del Verano.

(fonte: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/04/15/news/morto_vianello-3362343/)

Edmondo Berselli



(immagine tratta da https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMvb38vNodw9rAQcZZz3jQgGdGeRw2FWkpKluBNOK5SBfS1th4DvQAv5rSwb1CrKPLem7sMA8Lx0-2ISjjv9Sik0u4Uzo-ahc3V3OTlnfZBHaL8Tf_I5QTCGZmyF5YVo6Yl67bp0iaRcyD/s200/edmondo_berselli.jpg)

E' morto a Modena, dopo una lunga malattia, Edmondo Berselli. Aveva 59 anni. Scompare una delle figure più eclettiche dell'editoria e del giornalismo italiano. Editorialista di politica per Repubblica e collaboratore de l'Espresso, osservatore attento della società italiana, fustigatore - se necessario - delle sue debolezze e delle contraddizioni della politica con l'occhio dello spirito libero e, senza tentennamenti, laico e repubblicano. E, insieme, narratore - negli articoli e nei libri - delle passioni ( e delle cadute di stile) dell'Italia della musica, dello sport, del mondo culturale e dei suoi salotti. Fino alla gastronomia. Forse un titolo - Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe - sembra metterle insieme tutte mostrando un osservatore poliedrico e senza paraocchi della società italiana.

La stessa vena che ha messo nei suoi libri di analisi della politica - che è riuscito sempre a trasformare in analisi della società - e nei tanti articoli scritti via via per diversi giornali fino all'approdo a Repubblica. Un metodo che nel 2003, con Post-italiani, lo fece considerare come un analista quasi profetico di questa nostra società. Compresa la sua analisi disincantata, e forse per questo ancor più incalzante, del fenomeno Berlusconi nei tanti editoriali per Repubblica. Fino al fondo sul "padrone Berlusconi" del 17 marzo scorso, e alla puntura "La Vacanza" del 3 aprile. Gli ultimi.

Tutte passioni, a partire dalla critica della politica, che Berselli coltiva nel laboratorio bolognese del Mulino dove si incrociano - ma questa è storia della politica italiana - da Andreatta a Scoppola, a Giugni, a Pasquino a Panebianco. Esperienza che diverrà il crogiolo culturale anche dell'impegno diretto in politica di Romano Prodi.

Inizia alla fine degli anni '70 come correttore di bozze della casa editrice, della quale diverrà il direttore editoriale, e lega la sua vita culturale e lavorativa all'editrice e alla rivista bolognese di cui diverrà direttore modificandola profondamente. Intanto collabora alla Gazzetta di Modena, il primo passo del rapporto con numerosi giornali fino al suo arrivo a Repubblica nel 2003. Con il suo stile e le sue analisi - spesso ironiche e divertenti - a tutto campo.

Modi diversi di raccontare l'Italia che costruiscono l'analisi della società e della politica con la sensibilità di un intellettuale che vuole farlo suonando più tasti possibile. Basta mettere in fila solo alcuni dei suoi libri. C'è il best-seller Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica con l'ironico commento della sconfitta del Pd nel 2008. Ma anni prima c'era l'altrettanto noto Canzoni, un ritratto della società italiana dagli anni '50 ad oggi attraverso la musica leggera. E ancora Il più mancino dei tiri, dedicato a Mariolino Corso e attraverso lui al fenomeno calcio. Per arrivare al ritratto dissacrante del mondo culturale italiano con Venerati maestri, operetta morale sugli intelligenti d'Italia.

L'ultima fatica, personalissima e toccante, lo scorso anno con Liù. Biografia morale di un cane. Quasi un addio.
11 aprile 2010

(fonte: http://www.repubblica.it/politica/2010/04/11/news/berselli-3275107/)