venerdì 1 ottobre 2010

Tony Curtis



(link originale dell'immagine: http://blog.veryfinebooks.com/wp-content/uploads/2009/01/curtis232.jpg)



di Alberto Crespi

Anni fa avemmo l’onore di assistere, al festival di Berlino, ad una conferenza di Jack Lemmon. Attenzione: non conferenza stampa, ma conferenza tout court. Lemmon era un genio, un uomo coltissimo, ed ascoltarlo parlare di recitazione era come laurearsi all’Actor’s Studio. Parlando di A qualcuno piace caldo, Lemmon disse su Marilyn Monroe una frase che non possiamo non scrivere in inglese: «She drove Billy crazy and I think she drove Tony crazy, but in a different way». Traduzione: faceva impazzire Billy (Wilder) e credo facesse impazzire anche Tony, ma in un senso diverso. Il Tony di cui Lemmon parlava era naturalmente Tony Curtis, suo compare di sventura in quel film meraviglioso: sono i musicisti jazz che assistono a una strage di gangster e, per sfuggire alla morte, si travestono da donne e si rifugiano in un’orchestra femminile nella quale Marilyn canta e suona l’ukulele. Curtis aveva avuto una storia con Marilyn molti anni prima, quando lei si chiamava ancora Norma Jean Baker ed era una delle tante stelline giunte a Hollywood in cerca di fortuna. Sul set di A qualcuno piace caldo, il vecchio amore rinacque, anche se ormai Marilyn era psicologicamente molto instabile – infatti faceva diventar «crazy» anche Wilder – e le cose non potevano funzionare. Anche Tony, all’inizio degli anni ’50, era una stellina. Si arrabattava in piccoli ruoli (ce n’è uno brevissimo in Winchester 73, un bellissimo western di Anthony Mann) ma aveva almeno due carte da giocarsi: era bello in un modo esagerato, ed era ebreo. Il suo vero nome – pochissimi lo ricordano – era Bernhard Schwartz. L’etnia ebraica non garantiva l’ingresso a Hollywood, ma un pochino aiutava, e soprattutto procurava amicizie importanti. Il primo titolo ufficiale nella filmografia di Curtis, risalente al 1949, è How to Smuggle a Hernia Across the Border , «come contrabbandare un’ernia attraverso il confine».

Non meravigliatevi se non l’avete mai visto: era un film “casalingo”, pare molto surrealista, girato dal giovane ma già famoso Jerry Lewis. Tony e Jerry erano amici e lo rimasero sempre. Tra l’altro fu a casa di Jerry che Tony conobbe la sua prima moglie, Janet Leigh, la bionda di Psycho. Per la cronaca la loro splendida figlia è l’attrice Jamie Lee Curtis.

Curtis e le donne, Curtis e la pittura, Curtis e i cavalli. Sempre qualche anno fa, stavolta a Cannes, Tony Curtis venne a presentare durante il festival una sua mostra di pittura. Era diventata la sua grande passione in quel di Las Vegas, dove si era ritirato, e dove è morto. Non ricordiamo quadri bellissimi, ma la nostra incompetenza sull’arte moderna è totale: diciamo che erano coloratissimi, con tonalità molto violente, e una spessa crosta di pittura a coprire le tele. Quasi «action painting», con spazzolate alla Van Gogh. Ai cavalli, da molti anni, aveva aperto le porte del suo ranch: accoglieva tutti i purosangue da corsa in pensione, che gli ippodromi non volevano più. Per molti motivi Tony Curtis ispira solo ricordi e pensieri simpatici.

A qualcuno piace caldo rimane di gran lunga il suo film più famoso, e non sarà casuale se fu la prima scelta per il ruolo: «Quando Billy mi chiamò mi disse che avrei dovuto recitare vestito da donna e io risposi che non c’era alcun problema. Aggiunse che nel cast, con me, ci sarebbero stati Frank Sinatra e Mitzi Gaynor. Una settimana dopo mi telefonò per dirmi che aveva cambiato idea. Pensavo volesse licenziarmi, invece erano gli altri due terzi del cast ad essere cambiati: voleva Jack Lemmon, un nuovo attore che gli sembrava fantastico, e la produzione stava tentando di assicurarsi Marilyn Monroe...».

SPAVALDA IRONIA
Sono molti altri, i film, nella carriera di Curtis, ma siamo sicuri che subito dopo A qualcuno piace caldo vengono, nell’ideale classifica di molti spettatori, i telefilm della serie Attenti a quei due. Caratterizzata dalla sigla di John Barry e dal raffinato contrasto tra l’americano Curtis e l’inglesissimo Roger Moore, Attenti a quei due (in originale The Persuaders) era in effetti tv di altissimo livello, in cui le trame thriller si sposavano perfettamente con la spavalda ironia dei due attori. Non a caso Moore ha ricordato ieri il collega per il grande divertimento che accompagnò le riprese di quel telefilm davvero vintage.

Il Curtis comico può essere goduto anche in commedie come Boeing Boeing, o il delizioso Operazione sottoveste di Blake Edwards – dove l’attore può tornare alle uniformi della U.S. Navy che avevano contraddistinto la sua breve carriera militare. Ma come tutti i commedianti, Curtis poteva essere uno splendido attore drammatico. Rivedetelo, se potete, nello Strangolatore di Boston di Richard Fleischer, un thriller del ’68 fra i più crudeli e inquietanti mai usciti da Hollywood. Ma anche, naturalmente, in Spartacus di Kubrick, possibilmente nei dvd con la famosa sequenza gay censurata in cui Laurence Olivier, nei panni di Crasso, tenta di sedurre Curtis che interpreta il giovane schiavo Antonino. Quando la scena venne reintegrata, occorreva ridoppiarla, e Olivier era scomparso. Lo fece Anthony Hopkins, imitando alla perfezione la voce del grande shakespeariano: e da allora Curtis ha sempre salutato il collega dicendogli «Ciao, sono Antonino». In Italia Curtis ha avuto molte voci, ma la più perfetta e indimenticabile è quella di Pino Locchi, che lo doppia in A qualcuno piace caldo e in Attenti a quei due.

Rivedere quei film significa bearsi di un’arte e di una professionalità difficilmente riscontrabili nel cinema di oggi. Con due scomparse come Arthur Penn e Tony Curtis, nel giro di 48 ore, continua – ahinoi – a chiudersi un’epoca.
01 ottobre 2010

(da http://www.unita.it/news/culture/104141/lultima_risata_di_tony_curtis)

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